La Francia domenica, alla Marcia contro l’antisemitismo, a Parigi e in molte altre città, si è guardata allo specchio e ha tirato un sospiro di sollievo. Duecentomila persone hanno risposto all’appello dei presidenti dell’Assemblée nationale e del senato, Yaël Braun-Pivet (Renaissance) e Gérald Larcher (Lr), hanno sfilato per dire agli ebrei che non sono soli e che l’odio non ha spazio qui, malgrado le tragedie in corso. Nessuno slogan, nessun discorso dei politici.

La Marcia a Parigi era stata preceduta da polemiche, per la presenza dell’estrema destra, il Rassemblement national con Marine Le Pen, e Reconquête, con Eric Zemmour e la nipote Marion Maréchal-Le Pen. Ma il drappello estremista è stato isolato, in coda al corteo, anche se, politicamente, domenica è stato infranto un soffitto di vetro, per l’estrema destra un altro passo verso la normalizzazione e la possibilità di conquistare il potere.

La sinistra era presente, «fieri di questa sinistra che si mobilita contro l’antisemitismo, che tiene la piazza di fronte all’estrema destra», commenta il Pcf, che aggiunge: «Mentre altri la disertano». L’allusione è a Jean-Luc Mélenchon, provocatoriamente assente, che ha prima definito la Marcia come il corteo degli “amici” dei massacratori di Gaza e poi ha cercato di diminuirne la portata, «destra e estrema destra» non sarebbero riusciti a mobilitare. Ma a Strasburgo la fronda della France Insoumise (François Ruffin e Clementine Autain, tra gli altri) era ben presente alla Marcia contro l’antisemitismo organizzata dalla Licra.

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Lo specchio di domenica ha però rinviato un’immagine limitata della Francia: alla Marcia c’era una parte abbastanza omogenea di cittadini, anche come età. Pochi i giovanissimi. Praticamente assente la banlieue. Ieri Emmanuel Macron ha ricevuto all’Eliseo i rappresentanti dei culti. Ha chiesto uno «sforzo pedagogico» sui giovani. Per «spiegare lo spirito universalista, evitare la concorrenza vittimistica e costruire i valori della Repubblica», ha spiegato Christian Krieger, della Federazione Protestante.

Il rettore della Grande Moschea di Parigi, Chem-Eddine Hafiz, che non aveva invitato alla partecipazione alla Marcia, si è giustificato: «Non ho lezioni da ricevere sulla lotta contro l’antisemitismo – ha detto – si sarebbe dovuta fare per la lotta contro il razzismo» e ha denunciato «uno scatenamento di dichiarazioni contro i musulmani». Il ministero degli interni, pochi giorni fa, ha rivelato che ci sono stati in Francia più di 1200 atti antisemiti dall’attacco terrorista del 7 ottobre, in un mese più di tutto l’anno scorso. Quaranta francesi sono morti in Israele nell’attacco, ci sono degli ostaggi.

La prima ministra Elisabeth Borne ha partecipato alla Marcia, assieme a una ventina di ministri. C’è stata polemica per l’assenza di Emmanuel Macron. Il presidente ha affermato di essere presente «con il cuore e il pensiero» e ha scritto una Lettera ai francesi: «La Francia dove i nostri concittadini ebrei hanno paura non è la Francia, la Francia dove dei francesi hanno paura a causa della religione o delle origini non è la Francia», insistendo: «Siamo la nazione dell’universale».

Macron sta tentando una diplomazia da equilibrista. Da un lato, con il viaggio a Tel Aviv ha sostenuto il diritto di Israele a difendersi, oggi propone la prospettiva di un cessate il fuoco. Domenica ha telefonato al presidente Isaac Herzog e parlato con Benny Ganz, per chiarire il contenuto di un’intervista alla Bbc: una diplomazia che cerca l’equilibrio tra lotta al terrorismo (ieri era l’anniversario del Bataclan), la necessità di una tregua umanitaria con la prospettiva di un cessate il fuoco (a Parigi si è tenuta una Conferenza umanitaria su Gaza il 9 novembre) e la costruzione di un orizzonte politico con l’Iniziativa per la pace.