Nelle ultime settimane, su TikTok e altre piattaforme si è diffuso un crudele trend tra gli influencer israeliani: prendersi gioco delle sofferenze dei palestinesi. Nei video in questione li si vede bere avidamente dal rubinetto, sprecare acqua, accendere e spegnere l’interruttore della luce o travestirsi da donne palestinesi, con il borotalco a simulare la polvere delle macerie.

IN PARALLELO a questo fenomeno ha preso poi piede una teoria del complotto, se possibile ancora peggiore degli sfottò: quella secondo cui i palestinesi starebbero fingendo i bombardamenti o addirittura la propria morte. Gaza non sarebbe dunque una striscia di terra sotto assedio da più di un mese, in cui sono morte più di undicimila persone; sarebbe invece un grande set cinematografico a cielo aperto. Una specie di Hollywood palestinese: una “Pallywood”, insomma.
Secondo un’analisi del sito Logically, dal 7 al 27 ottobre il termine è stato menzionato più di 146mila volte su diverse piattaforme social. E non solo da influencer e utenti comuni, ma pure dalla propaganda ufficiale di Israele.

Ofir Gendelman, portavoce del primo ministro israeliano presso il mondo arabo, ha postato su X/Twitter una clip che mostrerebbe alcuni palestinesi intenti ad allestire la scena di un bombardamento, scrivendo che «i palestinesi stanno fregando l’opinione pubblica internazionale: NON CASCATECI». In realtà quel video è un dietro le quinte del film libanese The Reality.

SEMPRE SU X/TWITTER, l’account ufficiale dello stato di Israele ha postato tweet in cui accusa un giovane palestinese di essere un attore che impersona diversi ruoli, dal terrorista di Hamas fino al paziente reduce da un bombardamento; sostiene che i corpi nei sacchi si muovano, e dunque non sono morti; e afferma che i cadaveri dei bambini sono in realtà dei «bambolotti».
In tutti questi casi, come hanno dimostrato giornalisti e testate indipendenti di tutto il mondo, l’account di Israele ha rilanciato video decontestualizzati o direttamente falsi.
E non è la prima volta che succede. Anzi: il termine “Pallywood” ha una lunga storia alle sue spalle, che risale all’inizio della Seconda Intifada.
Il 30 settembre del 2000, nel corso di una sparatoria nella Striscia di Gaza, il dodicenne Muhammad al-Durrah e il padre Jamal si ritrovano in mezzo al fuoco incrociato tra israeliani e palestinesi. I due cercano rifugio ma una raffica colpisce il dodicenne, uccidendolo.

L’intera scena viene ripresa dal cineoperatore palestinese Talal Abu Rahma, e il servizio va in onda su France 2 causando uno scandalo planetario. L’esercito israeliano in un primo momento si dichiara responsabile, ma in seguito ritratta e accusa l’emittente francese di aver manipolato le immagini.

È PROPRIO da questo episodio che nasce il velenoso mito delle messinscene palestinesi. Nel 2005 lo storico americano Richard Landes pubblica un breve documentario – intitolato per l’appunto Pallywood: According to Palestinian Sources – in cui avanza la tesi la morte di al-Durrah non sia reale e che in generale i palestinesi si inventino le violenze per«“promuovere una propaganda anti-israeliana» con la complicità dei media occidentali.
Seguendo le orme di Landes, ha scritto la giornalista Natasha Roth-Rowland sulla rivista israeliana +972, è spuntata una «legione di esperti di psicologia forense e comportamentale in poltrona» che puntano a «screditare ciò che è stato filmato, e quindi minare tutta narrazione palestinese sull’occupazione, un proiettile alla volta».

COME SI È VISTO in queste settimane, alla “legione di esperti” si affianca spesso e volentieri il governo israeliano, che ormai ha totalmente incorporato “Pallywood” nella sua propaganda. Gli obiettivi di questa strategia non potrebbero essere più chiari: negare l’evidenza; deflettere la propria responsabilità; e infangare le vittime.
Se gli atti di violenza contro i palestinesi non sono mai quello che sembrano, allora i palestinesi non possono essere mai creduti. E se non possono essere mai creduti – questo è il terrificante sottotesto di “Pallywood” – allora possono essere uccisi con ancora più impunità. Tanto, alla fine, nemmeno muoiono veramente.