Aveva 26 anni, si chiamava Mohammad Khaled al-Osaibi e si era appena laureato in medicina. Nella città vecchia di Gerusalemme era arrivato per partecipare al secondo venerdì di Ramadan.

Era partito da Hura, una delle sette anonime township che Israele costruì negli anni ’70 nel deserto del Naqab per ricollocare decine di migliaia di palestinesi beduini, strappandoli al loro tradizionale stile di vita pastorale, mentre rifiutava (e rifiuta) di riconoscerne gli ancestrali villaggi, da sette decenni privi di qualsiasi servizio pubblico.

Muhammad Al-Osaibi

AL-OSAIBI è stato ucciso con 20 colpi di pistola dalla polizia di frontiera israeliana davanti a Chain Gate, uno degli ingressi alla Spianata delle Moschee. Le versioni divergono, molto.

Da una parte, i testimoni oculari: venerdì notte al-Osaibi difendeva una donna palestinese che i poliziotti israeliani stavano cacciando da al-Aqsa, lo hanno colpito da distanza ravvicinata e senza motivo. Dall’altra, gli agenti, un piccolo gruppo degli oltre 2mila dispiegati in vista del mese sacro dell’islam: il giovane avrebbe tentato di impossessarsi della pistola di uno di loro, forse avrebbe sparato, forse puntato l’arma alla testa dell’agente.

Per dirimere la questione basterebbe guardare i video registrati da una delle migliaia di telecamere di sicurezza che da anni ricoprono Gerusalemme. Sono ovunque, osservano ogni angolo (e abitante) della città, 24 ore su 24.

E difatti qualche video è uscito sulle piattaforme social: non si vede la sparatoria, si sente solo il rumore sordo e continuo dei colpi. Perché, dice la polizia, in quel preciso punto della città vecchia non c’è nessuna videocamera.

A SMENTIRLO è l’ex capo della polizia della città, Yair Itzhaki: «Non è possibile che non ci sia documentazione. Ho personalmente posto lì una serie di telecamere». Su The Times of Israel gli fa eco un altro comandante della polizia, anonimo: «Il luogo è pieno di telecamere, trovo difficile da credere che non esistano video della sparatoria».

Oggi dal Naqab alla Galilea, le comunità palestinesi sciopereranno in risposta all’uccisione di al-Osaibi. Lo ha annunciato l’High Follow-Up Committee for Arab Citizens in the 1948-Occupied Lands: chiuderanno uffici pubblici, scuole, negozi. Perché a profilarsi è l’ennesimo Ramadan di sangue, dopo tre mesi terribili, con almeno 86 palestinesi e 14 israeliani uccisi.

Ieri sera tre israeliani sono stati investiti e feriti da un palestinese a Beit Ummar, in Cisgiordania. Al momento si sa solo che è stato ucciso dall’esercito.

Poco prima per la preghiera del venerdì ad al-Aqsa erano entrati 250mila musulmani, nonostante le restrizioni per chi giunge da Gaza e Cisgiordania: Israele autorizza solo le donne e gli uomini sopra i 55 anni.

IN VISTA della Pasqua ebraica, la prossima settimana, il numero di fedeli musulmani calerà: le autorità israeliane chiuderanno i checkpoint per Gerusalemme da mercoledì 5 aprile a sabato 8, poi di nuovo l’11 e il 12 aprile. Una restrizione grave anche per i palestinesi fortunati titolari di un permesso di lavoro in territorio israeliano, non passeranno nemmeno loro.

Sarà invece autorizzato l’ingresso sulla Spianata a coloni ed estremisti di destra a cui non basta più la «passeggiata» provocatoria: sarebbe stata di nuovo presentata richiesta per compiere ad al-Aqsa – terzo luogo sacro dell’islam – sacrifici pasquali di animali.