Tanta gente davanti all’albero Falcone per l’attimo solenne delle 17.58 – l’ora esatta della strage di Capaci di trent’anni fa – non si vedeva da molti anni. E non c’entra la pandemia. A Palermo tira un’aria strana da settimane. Le migliaia di ragazzi al Foro Italico per la manifestazione istituzionale ma soprattutto la folla radunata davanti al ficus macrophylla di via Notarbartolo ne sono un sintomo. Non è solo questione di commemorazione. C’è di più. Tra poco più di quindici giorni, la città torna al voto. E il clima è pesante. Di colpo, la parola mafia è tornata alla ribalta.

CERTO, DI PROBLEMI la quinta città d’Italia ne ha tanti: i rifiuti, le bare insepolte al cimitero comunale, il bilancio del Municipio in default, le strade gruviera, il traffico. Tutto sembra passare in secondo piano. La fine dell’era Leoluca Orlando sta facendo insorgere dubbi e preoccupazioni. E il trentennale delle stragi sta facendo da cassa di risonanza alle polemiche e ai richiami continui alla legalità. Così ha fatto rumore l’assenza alla commemorazione ufficiale col Capo dello Stato Sergio Mattarella in prima fila, di Roberto Lagalla. Doveva esserci, alla fine ha deciso di disertare. Troppe tensioni, a suoi dire.

HA CHIAMATO Maria Falcone, sorella del giudice assassinato e organizzatrice dell’evento con la sua Fondazione, e poi ha diramato una nota alla stampa per spiegare la sua scelta. “Sono stato costretto a prendere questa decisione per evitare che qualche facinoroso, sensibile al fascino di certe feroci parole, potesse macchiare uno dei momenti simbolici più importanti della nostra città – ha scritto l’ex Rettore, candidato sindaco del centrodestra – Non è mia intenzione esporre Palermo a potenziali violenze. E’ mio dovere salvaguardare la sua immagine di fronte alle più alte cariche dello Stato. Sono profondamente addolorato per il clima d’odio che qualcuno sta alimentando strumentalmente”. Il vulnus che gli contestano i suoi competitor è di avere accettato l’endorsement di Marcello Dell’Utri e soprattutto la lista in suo sostegno fatta da Totò Cuffaro, anima della Dc Nuova. Entrambi hanno scontato pene definitive per mafia: Dell’Utri per concorso esterno in associazione mafiosa, Cuffaro per favoreggiamento a personaggio mafiosi.

In migliaia alla manifestazione contro la mafia ieri pomeriggio all’«albero Falcone» di via Notarbartolo

UN’ASSENZA, QUELLA di Lagalla, che ha fatto rumore. “Qui si viene sempre, ogni anno, in silenzio. Questa piazza non ha colore politico, ciascun rappresentante delle istituzioni dovrebbe sentirsi rappresentato da questa piazza, un inno alla legalità e alla lotta alla mafia. Una piazza che combatte la mafia e non vuole i suoi voti; anzi, li denuncia”, ha detto Francesco Boccia, responsabile enti locali del Pd, presente alla manifestazione davanti all’albero Falcone.

S’INFERVORA ANCHE Leoluca Orlando, alla sua ultima apparizione con la fascia tricolore. “Bisogna evitare che Palermo alle prossime elezioni possa tornare ad essere governata dalla mafia – avverte – E’ ambiguo ed inquietante che due persone che non hanno alcun ruolo politico, Cuffaro e Dell’Utri, abbiano costretto la Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia a ritirare i propri candidati per scegliere un candidato indicato da loro. Questo non ha nulla a che vedere con il candidato che ha diritto a competere alle elezioni amministrative ma questo modo di agire rischia di essere una scelta tranquillizzante per la mafia”. Su Lagalla è netto il giudizio anche di Franco Miceli: “Ci risparmi almeno il vittimismo – incalza il candidato del centrosinistra e 5 stelle. E’ lui che ha scelto la strada dell’ambiguità e ha sacrificato i valori di Palermo al suo interesse elettorale. Non si può onorare la memoria di chi ha sacrificato la vita per la lotta alla mafia e intanto appoggiarsi a chi ha intrattenuto rapporti con Cosa nostra. Hai scommesso sulla smemoratezza dei palermitani e hai perso”.

A RINSALDARE LA MEMORIA di Giovanni Falcone parlando soprattutto ai mille studenti giunti da ogni parte d’Italia ci ha pensato Mattarella. “La fermezza del suo operato nasceva dalla radicata convinzione che non vi fossero alternative al rispetto della legge, a qualunque costo, anche a quello della vita. Con la consapevolezza che in gioco fosse la dignità delle funzioni rivestite e la propria dignità. Coltivava il coraggio contro la viltà, frutto della paura e della fragilità di fronte all’arroganza della mafia. Falcone non si abbandonò mai alla rassegnazione o all’indifferenza”. Per il presidente della Repubblica “onorare la memoria di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino vuol dire rinnovare quell’impegno, riproponendone il coraggio e la determinazione: l’impegno contro la criminalità non consente pause né distrazioni”. E allora, per il Capo dello Stato, “è compito delle istituzioni prevedere e agire per tempo, senza dover attendere il verificarsi di eventi drammatici per essere costretti a intervenire; è questa consapevolezza che dovrebbe guidare costantemente l’azione delle Istituzioni per rendere onore alla memoria dei servitori dello Stato che hanno pagato con la vita la tutela dei valori su cui si fonda la nostra Repubblica”.

A MACCHIARE QUESTO trentennale è stata l’unica voce ‘stonata’: quella di Corrado Carnevale, presidente della prima sezione penale della Cassazione e passato alla storia con l’appellativo di ammazzasentenze. “Falcone è stato esaltato aldilà dei suoi meriti”, dice l’ex giudice, processato per concorso esterno in associazione mafiosa e assolto con formula piena. “Falcone era considerato il magistrato antimafia per eccellenza. Non credo che fosse l’unico. Né l’unico né il più importante – sostiene Carnevale – Inizialmente è stato amato, poi quando si accorsero che forse il suo entusiasmo, la sua campagna ideologica non erano tutte disinteressate ma ispirate dal desiderio di fare carriera, allora nell’ambiente cominciò a decadere nella considerazione almeno di una parte dell’opinione pubblica”.

SECONDO CHI LO DIPINGEVA come “avversario” di Falcone, Carnevale in Cassazione assolveva ingiustamente i mafiosi. Fra le molte tesi c’è quella che vede Totò Riina convinto che le condanne emesse nel ‘Maxiprocesso’ sarebbero state ribaltate proprio da Carnevale, circostanza che non si verificò, sostengono i detrattori dell’ex giudice, solo perché venne decisa una rotazione nell’assegnazione dei processi di mafia facendo in modo che non finissero sempre alla prima sezione presieduta da lui.