Di recente si è svolta a Budapest la sessione inaugurale del nuovo parlamento ungherese. Parlamento eletto col voto dello scorso 3 aprile che ha sancito la quarta vittoria consecutiva del Fidesz di Viktor Orbán su “Uniti per l’Ungheria”, il blocco dell’opposizione. Un successo netto che è valso alle forze governative la maggioranza parlamentare di due terzi; una conferma, quindi, anche in questo senso, per i governanti ungheresi.

Il capo dello stato uscente János Áder, ha conferito a Orbán l’incarico di formare il nuovo governo. Quest’ultimo ha prevedibilmente accettato e spiegato che le trattative con i candidati ministri del suo futuro esecutivo sono ancora in corso e che il medesimo “presenterà non poche modifiche per rispondere alle sfide di questi tempi di guerra”.

Insomma, sono stati annunciati dei cambiamenti di rilievo non meglio precisati, ma sembra scontata la conferma di Péter Szijjártó nel ruolo di ministro degli Esteri. 43 anni, capo della diplomazia ungherese dal 2014, Szijjártó è un fedelissimo di Orbán, sempre pronto a replicare in modo diretto alle critiche della comunità internazionale contro le scelte adottate dal governo che rappresenta. Col riacutizzarsi della crisi russo-ucraina e, prima dell’intervento armato di Mosca, aveva affermato le preferenze di Budapest per una soluzione diplomatica al fine di evitare una nuova guerra fredda.

La conferma del giovane ministro di Komárom (Ungheria settentrionale) viene quindi data da molti per certa o quasi, dal momento che abbiamo a che fare con uno dei più solerti interpreti della politica orbaniana, ma ne sapremo di più fra qualche settimana, quando il leader danubiano avrà presentato la lista dei ministri e il parlamento sarà chiamato a votare la fiducia.
Come sappiamo, il tema della guerra ha assunto un ruolo centrale nella campagna elettorale del Fidesz e sembra proprio che le argomentazioni di Orbán, legate a questo argomento, abbiano avuto un ruolo fondamentale, se non proprio determinante, nella nuova vittoria delle forze di governo.

Su aspetti legati al conflitto si è espresso il presidente dell’assemblea nazionale ungherese László Kövér, che nel discorso inaugurale della prima sessione del nuovo parlamento ha detto: “in Europa oggi ci sono solo due leader apertamente impegnati sul fronte della pace: Papa Francesco e Viktor Orbán”. Sì, perché, com’è noto, in campagna elettorale il primo ministro di Budapest si è presentato ai suoi connazionali come “uomo di pace”, risoluto a tenere il paese fuori dalla guerra – una guerra che non ci riguarda, così aveva detto più o meno -, contro un’opposizione che si esprimeva per un’Ungheria più solidale con l’occidente e con l’Ue e la Nato nell’aiutare concretamente l’Ucraina. Un’opposizione fatta percepire come parte politica intenta a far entrare il paese nel conflitto a scapito della popolazione tutta.

Ancora una volta, quindi, gli elettori si sono sentiti più sicuri nelle mani di Orbán che ultimamente ha anche avanzato l’ipotesi di un possibile ruolo di mediazione da parte ungherese per cercare di dare alla crisi russo-ucraina una svolta pacifica. In questo sfrutterebbe i buoni rapporti che ha con Putin.

Ma tornando alla sessione di insediamento dell’assemblea nazionale, va sottolineato che la medesima non è stata esente da polemiche. Difatti, nell’occasione, i deputati del partito liberale Momentum hanno lasciato l’aula dopo il giuramento in segno di protesta contro i brogli che a loro giudizio hanno viziato pesantemente l’esito delle elezioni determinando la sconfitta dell’opposizione. Secondo diversi analisti i partiti avversari delle forze di governo non dovrebbero assecondare quello che definiscono “finto parlamento di Orbán”.

Vi è però da evidenziare il fatto che socialisti, diversi altri partiti loro alleati e Jobbik hanno preferito restare in aula. Nessuno dei leader dell’opposizione si è voluto dimettere dopo la sconfitta dello scorso 3 aprile, solo Péter Márki-Zay, candidato premier, ha rinunciato al mandato parlamentare e ha preferito tornare a fare il sindaco a tempo pieno di Hódmezővásárhely. A risultati resi noti aveva detto, sconsolato, che “in un sistema ingiusto e disonesto – quello creato dall’esecutivo, per intenderci – non si poteva fare di più”. Ora si attendono le novità annunciate da Orbán.