Alla vigilia delle elezioni europee gli ultimi sondaggi in Ungheria vedono nettamente in vantaggio il Fidesz del primo ministro Viktor Orbán che si manterrebbe al di sopra del 50%. Le stime mostrano anche un testa a testa fra i socialisti dell’Mszp, in alleanza con Párbeszéd (Dialogo), e Jobbik, probabilmente in svantaggio rispetto ai primi.

Jobbik è nato come partito di estrema destra ma negli ultimi tempi si è impegnato a farsi percepire come forza politica conservatrice, nazionalista sì, ma moderata, senza però ottenere risultati particolarmente convincenti. Il partito risulta, tra l’altro, in calo di consensi ma si prevede comunque che resti rappresentato al parlamento europeo. Seguono Dk (Coalizione Democratica, centro-sinistra), il partito dell’ex premier socialista Ferenc Gyurcsány, i liberali antiorbaniani di Momentum, una forza politica giovane che l’anno scorso ha partecipato per la prima volta alle politiche ungheresi e i verdi dell’Lmp che, secondo le stime, rischiano di stare al di sotto del 5%. Vi sono poi altre formazioni politiche che per i sondaggi sono fuori dai giochi.

I partiti di opposizione non sono stati in grado di trovare abbastanza delegati per controllare la validità della tornata elettorale: su 10.277 seggi totali ne restano scoperti 2.500.

La campagna governativa si è di nuovo concentrata contro i flussi migratori e sull’identità culturale europea che per il primo ministro e i suoi collaboratori e sostenitori è senza alcun dubbio cristiana. Le città e le strade del paese sono attraversate da manifesti grandi e piccoli che invitano l’elettorato a sostenere il programma di Viktor Orbán tutto basato, appunto, sul bloccare l’immigrazione. Per il primo ministro ungherese i flussi migratori non vanno gestiti, come vorrebbe Bruxelles, ma fermati senza esitazioni di sorta. Risponde l’opposizione di centro-sinistra che invita i cittadini ad andare a votare e si esprime a favore di un’Ungheria in Europa, aperta e animata dal desiderio di condividere i valori che stanno alla base dell’Ue. La medesima accusa Orbán di aver avvicinato il paese alla Russia di Putin e di averlo portato verso una deriva sempre più antidemocratica. Il timore dell’opposizione è che prevalgano l’apatia e l’assenteismo alle urne. Sui social ci sono inviti ad andare a votare, il mondo sindacale di sinistra partecipa a questo impegno ed esorta gli aventi diritto ad andare alle urne.

È noto che il Fidesz è sospeso dal Partito popolare europeo a tempo indeterminato. Orbán non vuole che la cosa suoni come uno smacco per il suo partito e afferma, in modo propagandistico, che sarà difficile continuare a lavorare insieme a un Ppe in cui prevalgono chiare tendenze di sinistra, quelle favorevoli all’immigrazione, per intenderci. Non sosterrà il candidato Manfred Weber, la sensazione è però che non consideri chiusa la vicenda, ma speri piuttosto che il risultato del voto lasci spazio a un’alleanza fra i popolari europei e le forze cosiddette sovraniste. Intervistato dal quotidiano tedesco Bild, in edicola ieri, ha sostenuto infatti che «Salvini in Italia fa un buon lavoro e per questo non bisogna escludere un’alleanza dopo le elezioni». Cambiare l’asse politico del Ppe dall’interno spostandolo a destra, sarà però tutt’altro che facile, e Orbán, che non manca di senso della realtà, lo sa bene. Diversi dirigenti del Ppe si sono mostrati ostili a un’alleanza come quella auspicata dal premier di Budapest. Quest’ultimo è un buon opportunista politico che si guarda intorno per valutare la possibile alternativa a una ricomposizione con il Ppe se quest’ultima opzione dovesse assumere le sembianze di una strada non percorribile.

Si va quindi al voto, senza dibattiti, in fondo, e senza contraddittori tra l’opposizione e il governo che nega ai suoi avversari politici qualsivoglia considerazione. Niente di nuovo.