La risposta di Benjamin Netanyahu all’attacco di Hamas del 7 ottobre è stata esagerata, over the top. Queste sono le conclusioni a cui è arrivato Joe Biden e che ha esternato durante una conferenza stampa alla Casa bianca. Dopo mesi di supporto incondizionato ad Israele il presidente Usa, rispondendo alle continue richieste di un cessate il fuoco immediato che arrivano dalle piazze statunitensi, ha detto di stare «lavorando senza sosta», e di aver fatto pressioni sul governo israeliano «per consentire l’ingresso di aiuti umanitari. Ci sono moltissime persone innocenti che muoiono di fame, donne e bambini innocenti che hanno disperato bisogno di aiuto. Ho parlato al telefono con i sauditi per portare a Gaza quanti più aiuti possibili».
L’amministrazione Biden ha poi emesso un memorandum per chiedere agli alleati che ricevono aiuti militari dagli Stati uniti di fornire «assicurazioni scritte credibili e affidabili» della loro adesione al diritto internazionale, compreso il diritto sui diritti umani.

LA NOTA non menziona nessun paese in particolare, ma è stata emessa nel contesto delle richieste degli Usa di mettere condizioni agli aiuti a Israele, viste le preoccupazioni che le armi americane vengono utilizzate nell’uccisione di civili a Gaza.
L’associazione Usa filo-israeliana American Israel Public Affairs Committee, Aipac, non ha preso bene questa richiesta e ha definito il memorandum «una direttiva non necessaria che impone nuovi requisiti a Israele». «La nostra attenzione dovrebbe concentrarsi sul sostegno al nostro alleato».

Che la luna di miele conTel Aviv si sia incrinata è ormai evidente: il memorandum rispecchia un emendamento presentato a fine dicembre dal senatore Chris Van Hollen e sostenuto da 18 democratici del Senato, che hanno lanciato l’allarme sulla necessità che gli Stati uniti esercitino maggiori pressioni su Israele per proteggere i civili e aumentare il flusso di assistenza umanitaria. «Tutti gli elementi chiave dell’emendamento sono ora incorporati nella nota sulla sicurezza nazionale emessa dal presidente», ha detto Van Hollen ai giornalisti.

La tensione con Israele è stata uno dei due elementi chiave della conferenza stampa di Biden, che ha dovuto rispondere alle domande dei giornalisti sul rapporto che il dipartimento di Giustizia ha pubblicato sull’indagine sui documenti riservati che Biden ha conservato nella sua casa in Delaware, e a quanto pare condiviso, risalenti a quando era il vice di Obama. Il consigliere speciale Robert Hur, nominato dal dipartimento per indagare sul caso, è arrivato a conclusioni che scagionano Biden da responsabilità penali, ma che contengono note taglienti sullagestione dei documenti e sulle sue facoltà mnemoniche, arrivando a dire che sarebbe difficile condannare il presidente 81enne, in quanto una giuria potrebbe considerarlo un «uomo anziano con una memoria confusa». Hur ha aggiunto che Biden non riusciva a ricordare tappe fondamentali della sua vita, inclusa la data della morte del figlio Beau.

A UN GIORNALISTA che gli chiedeva se la sua memoria fosse peggiorata, Biden ha risposto: «La mia memoria va bene. Dia un’occhiata a quello che ho fatto da quando sono diventato presidente». A un giornalista di Fox News che gli faceva la stessa domanda, ha detto «la mia memoria è così malmessa che ti lascio parlare». Più avanti nel suo intervento, parlando della guerra tra Israele e Hamas, ha confuso i nomi dei presidenti di Egitto e Messico («il presidente messicano Sisi»), e su questo i media di destra si sono scatenati.
I dem hanno descritto il rapporto di Hur come motivato politicamente e hanno fatto quadrato attorno a Biden andando contro Hur, repubblicano, procuratore in Maryland durante l’amministrazione Trump, nominato procuratore speciale sul caso poco più di un anno fa dal procuratore generale Merrick Garland. «Qua sui trattava solo di diffamazione – ha detto il senatore dem John Fetterman – mosse scadenti per mettere le cose fuori contesto, o per inventarle. 350 pagine solo per dire che Joe Biden non sarà incriminato. Non sono necessarie 350 pagine per dirlo. Chiaramente c’era un secondo fine».