Professore associato di Teoria Politica all’Università di Amsterdam (UvA) e redattore di Jacobin Nederland, Enzo Rossi è stato un attento osservatore delle elezioni olandesi di mercoledì che hanno reso il partito più votato il Pvv dell’islamofobo Geert Wilders. In un tweet della vigilia, commentando i dati sull’alta percentuale di indecisi emersa negli ultimi sondaggi elettorali, Rossi ha scritto «quanti di questo 63% di votanti indecisi si vergognano di dire ai sondaggisti chi stanno per andare a votare?».

Aveva previsto il risultato dunque?
Non credo di potermi vantare di aver previsto il risultato, ma ero decisamente preoccupato. La leader del partito liberal-conservatore Vvd aveva aperto a Wilders poco prima dell’inizio delle votazioni dicendo che non avrebbe partecipato a un governo con lui premier, lasciando però la porta aperta a un esecutivo con l’estrema destra (Pvv) ma senza il suo leader come primo ministro. Se alla fine Wilders accettasse di entrare in un governo ma non come premier, il Vvd avrebbe vinto la scommessa.

Nonostante sia in politica fin dall’inizio degli anni 2000, Geert Wilders è stato il più votato ma ancora crea sentimenti di vergogna tra i suoi elettori. Come mai?
Fino a quest’anno tutti i partiti mainstream hanno sempre dichiarato che non avrebbero formato un governo con Wilders. Gli olandesi sono consci di questo cordon sanitaire, e tendono a non essere particolarmente anticonformisti in pubblico. La privacy dell’urna crea altri risultati.

Quali sono i motivi del suo successo in queste elezioni?
In primo luogo l’apertura del Vvd. Molti elettori di destra hanno visto un’opportunità di spostare a destra il baricentro della coalizione. Ricordiamoci che in Olanda vi è un sistema elettorale puramente proporzionale, quindi i governi sono sempre larghe coalizioni. Penso anche che l’elettorato del Vvd abbia esitato a votare per una candidata leader di origine turca come Dilan Yesilgöz-Zegerius.

Secondo lei l’abbandono della politica da parte di Mark Rutte, che da liberale aveva fatto proprie alcune delle parole d’ordine della destra xenofoba, ha lasciato un vuoto tra gli elettori che hanno deciso di riempirlo, votando per Wilders?
Oltre alla recente apertura esplicita a Wilders, i liberali di destra già da molto tempo hanno contribuito a sdoganare la retorica xenofoba e razzista. E perfino il partito socialista Sp ha abbracciato posizioni nativiste negli ultimi anni. Basti pensare che la leader Lilian Marijnissen, ad agosto, ha proposto limiti al numero di lavoratori stranieri nei Paesi Bassi.

Il successo di Wilders si rispecchia anche nella crisi della sinistra olandese. Nonostante il secondo posto del ticket rossoverde PvdA-Groenlinks, è riuscita a ottenere la maggioranza solo in una manciata di municipalità. Quali sono i fattori che hanno portato a questo risultato?
Posso rispondere solo in modo speculativo. Il partito laburista (PvdA) era compromesso per aver sostenuto coalizioni di centro-destra in passato. L’alleanza con il GroenLinks li ha parzialmente riscattati, ma al costo di confermare il sospetto che i verdi stessi siano ormai un partito dell’establishment neoliberale. Il partito più di sinistra, BIJ1, ha perso la sua carismatica leader Sylvana Simons, ed è imploso per via di conflitti fra una fazione anticapitalista e una identitaria-intersezionale. Infine la strategia dei socialisti (Sp) di inseguire il voto xenofobo non ha funzionato, prevedibilmente, direi.

Nel suo ultimo articolo ha messo in luce come un altro fattore da prendere in considerazione sia il calo di votanti.
Vale la pena notare che l’affluenza è stata decisamente più bassa nelle grandi città, dove la popolazione è più progressista. Ma più in generale: gli olandesi tendono a pensare che il loro sistema proporzionale dia voce a uno spettro più ampio di posizioni politiche rispetto a paesi con il bipartitismo, come gli Stati Uniti. Ma questa voce raramente si trasforma in risultati politici: rigorosi studi empirici mostrano che sia in Olanda e sia negli States le scelte dei governi tendono comunque a rappresentare sempre le preferenze della fascia di censo più alta (il top 10%).