Fine della Ostpolitik di Berlino. Dopo aver provato a difendere l’interesse nazionale tedesco a Washington come a Bruxelles il cancelliere Olaf Scholz cede di schianto di fronte al formale riconoscimento russo delle Repubbliche autonome del Donbass.

«Ho chiesto al ministro dell’Economia, Robert Habeck, di bloccare subito l’iter di autorizzazione del Nordstream-2 attualmente in valutazione all’Agenzia delle Reti. Non si tratta di un passo tecnico ma di una mossa politica: senza il via libera del governo il gasdotto non potrà mai partire» conferma il capo del governo nella conferenza stampa al termine del vertice con il premier irlandese.

Sottolineando la «ferma condanna dell’azione ingiustificata e incomprensibile» di Putin denunciata in contemporanea anche dal presidente della Repubblica, Frank-Walter Steinmeier impegnato nella visita ufficiale in Senegal: «Putin ha distrutto gli accordi di Minsk», accusa il capo dello Stato che da ministro degli Esteri partecipò in prima fila ai negoziati del 2015.

Plaudono alla cessazione della neutralità della Germania sia la Nato che gli Usa; i secondi rivelando come lo stop al gasdotto gestito da Gazprom sia stato «concordato insieme al governo tedesco nel corso della notte»; mentre due ore dopo le parole di Scholz piomba a Berlino la prevista, durissima, reazione del Cremlino: la presentazione del conto della decisione assunta dalla coalizione Semaforo. «Benvenuti nel nuovo temerario mondo dove gli europei molto presto pagheranno 2000 dollari per mille metri cubi di gas» è il calcolo da paura del vicepresidente russo Dmitry Medvedev.

Tuttavia, il vento in Germania da ieri ha cambiato davvero direzione, investendo in pieno perfino la Linke che ha sempre considerato il Nordstream come un’infrastruttura strategica per la sicurezza energetica nazionale. «Il riconoscimento delle Repubbliche di Donetsk e Luhansk e l’invasione russa dell’Ucraina aggravano ulteriormente il conflitto. Non si tratta di una missione di pacekeeping ma di un’azione contro il diritto internazionale che viola la sovranità e l’integrità territoriale dell’Ucraina» sottolineano le co-segretarie, Janine Wessler e Susanne Henning.

E nonostante le sanzioni contro Mosca «non sono la strada migliore perché colpiscono persone che non c’entrano» per la prima volta ieri la Linke ha protestato di fronte all’ambasciata russa sull’Unter den Linden agitando uno striscione rosso con scritto «Giù le armi».

Non è stata l’iniziativa isolata di qualche sezione ma la sintomatica denuncia dei massimi dirigenti del partito: dalla capogruppo al Bundestag, Caren Lay, al vicesindaco della capitale, Klaus Lederer. Naturalmente, per maggioranza e opposizione la via maestra verso la de-escalation resta la diplomazia insieme al veto di vendere armi tedesche a Kiev. Ma identica attitudine non significa uguale atteggiamento, come dimostra la nuova linea di Scholz ora quasi sovrapponibile al solco tracciato dalla presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen.

«Adesso tocca alla comunità internazionale rispondere a Putin. Dobbiamo coordinare un approccio comune per dare il segnale a Mosca che simili iniziative non possono restare prive di conseguenze. Oltre alle sanzioni, però, resta fondamentale continuare a promuovere tutti gli sforzi per prevenire l’ulteriore escalation del conflitto. Che sarebbe un disastro» precisa Scholz. Domani intanto, comincia la prima delle sedute speciali del Bundestag sull’Ucraina, più i lavori delle commissioni Esteri, Interni e Affari europei incaricate di elaborare la risposta tedesca alla crisi che resta appesa ai fili di Usa e Russia.