Nell’estate del 1913 Franz Kafka parte da Praga, assieme alla sorella Elli e al cognato Karl Hermann, alla volta di Riva del Garda per essere ricoverato nel sanatorio del dottor von Hartungen specializzato nel trattamento della neurastenia, delle affezioni di cuore e dei polmoni: lo scrittore è malato di tubercolosi. I tre si fermano qualche giorno a Vienna per poi proseguire verso Trieste dove, il 15 settembre, si imbarcano per Venezia.

Un viaggio «ridicolarmente breve», ricorda in una cartolina scritta al suo arrivo all’amico Max Brod, ma un incubo per il mal di mare che Kafka soffre: «Finalmente a Venezia. Ma ora devo andarci anch’io, per quanto stia diluviando (tanto meglio per lavare via i giorni di Vienna) e per quanto la mia testa stia vacillando dopo un po’ di mal di mare che mi ha colpito durante un viaggio ridicolarmente breve (Trieste-Venezia), ma con una burrasca di vento. Franz». Quando arriva col piroscafo in bacino di San Marco resta folgorato: «Quanta bellezza c’è qui e quanto è sottovalutata da noi», scrive. Il suo umore non è dei migliori: ha finito di scrivere un anno prima La metamorfosi ed è in crisi di ispirazione; in più la relazione con la berlinese Felice Bauer, fatta solo di lettere, è giunta ad un punto di non ritorno.

Franz, Elli e Karl soggiornano all’hotel Sandwirth, un albergo sulla riva degli Schiavoni gestito dalla famiglia austriaca Perkhofer (originaria di Barwies), che da decenni è diventata una sorta di enclave per tutti gli intellettuali e per molti viaggiatori mitteleuropei. Kafka sceglie di alloggiare al Sandwirth perché a Praga ha letto degli articoli che suggeriscono l’albergo di proprietà austriaca, condotto da persone austriache, di tono e cucina tirolese (nella hall campeggia il ritratto di Andreas Hofer, il mito del nazionalismo pangermanista) e con persino un’elegante Weinstube: è un ambiente assolutamente fuori contesto a Venezia. Lo scrittore boemo parla il tedesco, e questo evidentemente lo spinge nella scelta dell’hotel dove, tra l’altro, si serve la stessa birra che Kafka può bere a Praga, può mangiare strudel e Wiener Schnitzel: insomma per i viaggiatori della mitteleuropea il Sandwirth è come essere a casa.

Il giorno dopo i tre si recano in spiaggia al Lido al Grande stabilimento bagni (vicino all’hotel Des Bains) e si fanno immortalare da un fotografo. L’immagine sulla spiaggia è una delle poche, se non la sola, che ritrae lo scrittore sorridente a fianco del cognato Karl, e sicuramente l’unica di Kafka in costume da bagno e a petto nudo (cosa rara all’epoca).

Nella foto, Franz sembra contento e sereno, ma al mattino, con la carta da lettere del Sandwirth, aveva scritto la lettera d’addio a Felice Bauer: «Sono qui solo, non parlo quasi con nessuno, tranne gli impiegati degli alberghi, la mia tristezza quasi trabocca, e tuttavia, mi pare, sono nella condizione a me adeguata, assegnatami da una giustizia superiore, che non è dato superare e che dovrò portare fino alla fine» e, conclude, «Quando stamattina mi sono alzato dal letto per guardare il luminoso cielo veneziano, e questi pensieri mi hanno attraversato la mente, mi sono vergognato e infelice. Ma cosa posso fare, Felice? Noi dobbiamo prendere commiato».

Oltre a Felice, la mattina del 16 settembre Franz invia dal Sandwirth una lettera all’amico Max Brod a Praga, nella quale confessa di non riuscire a scrivere nulla a Venezia, neppure nel diario. Il suo viaggiare avveniva soltanto all’interno delle stesse «caverne».

Kafka lascia Venezia il 20 settembre. Passando per Verona e per Desenzano raggiunge Riva del Garda e il sanatorio del dottor von Hartungen, altro microcosmo mitteleuropeo, dove avevano soggiornato anche Thomas e Heinrich Mann. Thomas, nonostante i divieti dei medici, nel suo soggiorno di cura aveva scritto Tonio Kröger, romanzo che sicuramente Kafka aveva letto essendo un grande estimatore di Mann di cui si divertiva persino a imitare la firma.

Un mese prima di Kafka, al Sandwirth avevano soggiornato altri intellettuali viennesi, come il celebre poeta austriaco George Trakl assieme a Adolf Loos e Karl Kraus. Trakl non ha ancor mai varcato le Alpi, nel luglio del 1913 bighelloneggia a Vienna senza soldi, senza lavoro e con nessuna voglia di ottenerlo. Così, dopo aver cercato d’imbarcarsi per le Americhe, accoglie l’invito di Adolf Loos per una vacanza a Venezia. Il giorno prima di partire, il 15 agosto, scrive a un amico d’infanzia parodiando Dante: «Il mondo è rotondo. Sabato cado giù a Venezia. Sempre avanti – alle stelle». La comitiva, che comprende l’amante di Loos, resta in città per una dozzina di giorni (Trakl scriverà in albergo una poesia diventata celeberrima: In Venedig). Loos era venuto nella città lagunare per progettare una villa al Lido per il celebre attore viennese Alexander Moissi (progetto che non andò in porto) e assieme a Trakl passa il tempo a prendere il sole sulla spiaggia.
Nel marzo del 1913, anche Sigmund Freud è ospite del Sandwirth (nella zona dell’albergo chiamata Casa Kirsch) assieme alla figlia Anna: «Venezia getta tutti nel disorientamento. Stiamo davvero molto bene qui. Ti scrivo dalla camera la cartolina della vista dalla finestra in riva degli Schiavoni dove sono alloggiato, con l’intestazione di Casa Kirsch. Non è un segnale d’insonnia. Scrivo alla finestra con la più incantevole vista mattutina su santa Maria della Salute e san Giorgio Maggiore», scrive alla moglie Martha. Gli piace andare la mattina al Lido a fare il bagno compiacendosi della splendida sabbia, a volte ci va anche il pomeriggio.

Lettera di Kafka a Felice Bauer su carta intestata del Sandwirth
Lettera di Kafka a Felice Bauer su carta intestata del Sandwirth

Il Sandwirth, che era consigliato nell’importante Baedeker’s Ober-Italien stampato da Leipzig Verlag Karl Baedeker nel 1902, era un albergo comodo per chi voleva raggiungere la spiaggia lidense: a un centinaio di metri partiva il vaporetto che collegava Venezia al Lido, ma era molto centrale per quanti desideravano visitare anche il centro storico.

Un anno prima dell’arrivo di Kafka, al Sandwirth alloggia Walter Benjamin con alcuni amici. Nel maggio del 1912, il giovane Benjamin consegue la maturità al Friedrich-Wilhelm Gymnasium di Berlino e decide di fare un Bildungsreise in Italia con gli amici Franz Sachs, Erich Katz e Franz Simon (un chimico che, emigrato negli Stati Uniti, diede nel ’43 un contributo importante alla costruzione della bomba atomica). Dopo Milano e Verona, Benjamin giunge a Venezia. Alla stazione, per un disguido, perde il vaporetto in cui erano già saliti gli amici, i soli che conoscevano il nome dell’albergo prenotato; giunge in piazza San Marco, ma non sa dove andare: «È buio, i lampioni e le luci sono accese. Cammino con la valigia in mano lungo la riva degli Schiavoni, apostrofato dai gondolieri, inseguito dai ragazzi di strada». Raggiunto dagli amici che lo stavano cercando, «finalmente riuniti andiamo all’hotel Sandwirth dove erano già state affittate delle stanze». Dopo essersi cambiato, scende nel ristorante dell’albergo per la «parca cena» in stile tirolese con strudel finale che i cuochi della famiglia Perkhofer preparano sempre per i loro ospiti.

Alla mattina, Benjamin e amici che, pur non provenendo da famiglie povere, non hanno molti soldi in tasca, preferiscono spendere meno andando a fare «colazione per una lira circa in un caffè sulla riva, a tre minuti dall’albergo». Visitano la chiesa dei Frari, le Gallerie dell’Accademia, palazzo Ducale e poi tornano in albergo e, per risparmiare, prendono in camera «il pasto a base dei soliti ingredienti accompagnato da un po’ d’acqua di seltz alla quale aggiungiamo succo di limone».

L’ultimo giorno «eccezionalmente e per l’ultima volta», il filosofo mangia al Sandwirth, che per le sue tasche giudica a «caro prezzo», e poi i tre si concedono un giro in gondola, ma curiosamente litigano col gondoliere che pretende un supplemento: «abbiamo respinto la richiesta supplementare dell’uomo, che per un giro di oltre un’ora pretendeva una tariffa di tre lire, appoggiato dai gondolieri che ci circondavano. E venuto con noi dal poliziotto. Il gondoliere presenta la questione al poliziotto in italiano, noi lo accusiamo in francese. Si forma un assembramento. Il poliziotto ci impone di pagare. Noi ci rifiutiamo e ricominciamo daccapo. Dalla folla che ci circonda esce un signore istruito che a quanto pare aveva seguito la faccenda. Quando chiede ragione al poliziotto quello si infila tra la ressa e fila via. Con gesti e richiami veementi il signore va a riprenderlo. Ora si chiarisce tutto. Il poliziotto si è sbagliato; ovviamente. Il gondoliere ammutolisce, prende da Simon le sue due lire senza la solita mancia e si allontana imprecando».

Nel 1915, con l’entrata in guerra dell’Italia, il Sandwirth è requisito perché di «proprietà dei nemici». Resterà chiuso fino alla fine del conflitto e quel meraviglioso mondo di intellettuali non potrà farvi tappa per molti anni. Forse, per non tornarci più, visto che quel mondo è ormai tramontato e il Grand tour della borghesia mitteleuropea svanisce per dar luogo alla Venezia della modernità e al turismo di massa.