Oggi scioperano i lavoratori della più grande azienda del paese. Il gruppo Tim infatti nonostante tagli e mancato turn over ha ancora 42 mila dipendenti diretti, più di Stellantis e Leonardo e Fincantieri e dei principali gruppi della grande distribuzione.
L’ex monopolista pubblico Telecom è passato per varie privatizzazioni e progressivamente spolpato in nome del mercato e di una concorrenza che nella telefonia ha portato a margini di guadagno sempre più bassi che hanno portato proporzionalmente a salari e diritti sempre più bassi per i dipendenti.
I miglioramenti tecnologici con il mitico 5G e la fibra dovevano risollevare le sorti di tutto il settore. E invece le scellerate scelte degli ultimi governi e soprattutto di quello Draghi hanno paradossalmente peggiorato la situazione.
Come al solito, i lavoratori e i sindacati non vengono mai ascoltati. E così dopo anni di lotte intestine e di colonizzazioni spagnole e francesi con Telefonica e Vivendì i confederali hanno deciso di dare un segnale forte contro la strategia dello scorporo della rete e lo spezzatino del gruppo.
Fallito anche l’incontro con il nuovo amministatore delegato Labriola, Slc Cgil, Fistel Cisl e Uilcom hanno proclamato lo sciopero di 8 ore che oggi riempirà le piazze delle città e vedrà un presidio dalle 9 alle 13 sotto il Mise per protestare contro il silenzio complice del ministro Giancarlo Giorgetti e dell’intero governo.
«In queste ore centinaia di delegate e delegati delle maggiori aziende di tlc stanno esprimendo la loro solidarietà ai colleghi di Tim – sottolineano in una lettera aperta unitaria a tutti i lavoratori Slc Cgil, Fistel Cisl e Uilcom Uil – e tutti insieme la preoccupazione per la sostenibilità di un comparto strategico che in questi anni ha evidenziato i limiti di un modello sbagliato. Ci aspetteremmo uguale preoccupazione dal “governo dei migliori” che evidentemente sono disattenti su un settore strategico e trainante del paese ed un pilastro del Pnrr».
A rischio ci sono infatti migliaia di posti di lavoro, diretti e dell’indotto. Come a rischio è lo sviluppo di una rete di telecomunicazioni degna di un paese civile. «Dopo anni di piani disattesi, denari pubblici spesi senza aver minimamente dotato l’Italia di una infrastruttura moderna, inclusiva ed universale, – continuano i sindacati – oggi governo e politica assistono inermi a quello che potrebbe essere l’ennesimo scempio industriale italiano».
«Lo sciopero – puntualizza il segretario nazionale della Slc Cgil Riccardo Saccone – vuole richiamare tutti alle proprie responsabilità, azienda e governo. Ne va del destino dei dipendenti e della scommessa sul futuro del paese. Noi stiamo per decidere, unico paese d’Europa tranne la Grecia a cui lo ha imposto la troika, di distruggere l’ex monopolista con conseguente disastro occupazionale e nessun miglioramento di servizi per il paese – continua Saccone – . La cosa che colpisce di più è il ruolo da Ponzio Pilato del governo».
Sulla partecipazione allo sciopero Saccone è ottimista. «Mi sembra che il clima stiamo montando, anche i lavoratori che dovrebbero finire nella parte “rete” in teoria più garantita hanno capito che senza un intervento di Cassa depositi e prestiti quel progetto non ha più senso e si punta solo a una buona uscita per Vivendì. Il Memorandum dell’agosto 2020 era una soluzione ottima: prevedeva la costituzione di una società unica con Open Fiber con Tim al 51% ma integrata fra rete e servizi. Oggi invece si va verso una società pubblica che vende solo connettività all’ingrosso che non regge la sfida di digitale tutto il paese», conclude Saccone.