Il premier designato Adib si dimette. Un breve colloquio ieri con il presidente Aoun, poi la rinuncia dell’ex-ambasciatore a Berlino all’incarico di formare il nuovo governo, accettato il 31 agosto dopo le dimissioni venti giorni prima del premier ad interim Diab.

Colpo di scena annunciato. Un governo che dia vita a una stagione di riforme permetterebbe l’arrivo dei 253 milioni di euro stanziati dalla comunità internazionale per il Libano dopo l’esplosione che il 4 agosto ha causato circa 200 morti, 7mila feriti e devastato Beirut. Macron, a capo della commissione intenazionale, già due volte in visita, di ritorno a dicembre e che oggi terrà una conferenza sul Libano, ne fissa la scadenza non rispettata per metà settembre.

L’impasse è sul ministero della Finanza, ad appannaggio sciita dal 2014. Lunedì Aoun, che aveva dichiarato che «il paese sarebbe andato all’inferno» se non si fosse fatto in fretta, propone la fine della distribuzione settaria delle cariche ministeriali di Finanza, Affari Esteri, Difesa e Interno. Il giorno dopo l’ex-premier Hariri suggerisce di dare la Finanza a un ministro sì sciita, ma che non appartenga a Amal e Hezbollah, gesto comunque da intendersi come una mossa per accelerare la formazione del governo e non come un diritto settario. Amal e Hezbollah sono ovviamente contrari a quella che sarebbe di fatto una loro estromissione dalla stanza dei bottoni, specie in vista della valanga di denaro in arrivo, anche se la posizione di Berri, leader di Amal e portavoce del parlamento, sembra più conciliante.

Nessun dubbio sul tentativo nazionale e internazionale di isolare Hezbollah, scomodo sia da alleato che da nemico.

Così Adib, che ribadisce il sostegno al progetto francese, rinuncia all’incarico dopo neanche un mese per quello che l’entourage di Macron ha bollato come un «tradimento collettivo dei partiti libanesi», ma «la Francia non lascerà il Libano al collasso». E che la Francia non avesse mai lasciato il Libano già si sapeva.

La lira libanese è subito schizzata a 8100 per 1 dollaro – moneta ufficiale e di scambio con l’estero in Libano – al mercato nero, mentre in questi giorni si era assestata intorno a 7500. Il cambio ufficiale – ormai surreale – è di 1500 lire circa, ma da novembre non ci sono più dollari sul mercato, i conti sono congelati e i trasferimenti bloccati. A chi ha depositi in dollari le banche rilasciano piccole somme al cambio di circa 3900 lire, per gli altri c’è solo il mercato nero.

L’inflazione è all’80% e i margini per ogni tipo di speculazione sono larghissimi.
Contro l’ennesimo rincaro ci sono state proteste a Tripoli, Saida e Beirut.

Ulteriori segnali inquietanti arrivano dall’incendio di ieri di un campo profughi siriano a Saida e da quello mercoledì di una palazzina-deposito di armi di proprietà di Hezbollah a Ain al Qana, entrambi dovuti ufficialmente a guasti tecnici, che si sommano a quelli dei giorni passati. Troppi incidenti e troppe coincidenze in meno di un mese e mezzo che danno quantomeno la misura di un disagio e di una tensione immensi.

Per non parlare del covid. Anche qui, con 1280 casi e 4 morti ieri, a detta del ministero della salute la è «situazione fuori controllo». E ogni scenario diventa possibile.