Soffia il vento elettorale, Marco Minniti passa da Bologna, e tanto basta per fare inclinare il sindaco a destra. E’ successo giovedì quando Virgilio Merola ha proposto al ministro l’apertura in città di un Cpr, un centro per il rimpatrio, nuovo nome con cui sono stati ribattezzati i ben più conosciuti e disumani centri di identificazione e espulsione. Ma Merola ha preferito coniare l’espressione «centro di rimpatrio per i delinquenti», zucchero per ogni palato leghista che si rispetti.

«Parole di destra, sembra di sentire il leghista Attilio Fontana», tuona il presidente nazionale di Antigone Patrizio Gonnella.

In realtà a ben vedere tutto il Pd bolognese sta volente o nolente sbandando paurosamente. Priorità assoluta sono ovviamente le candidature per le politiche del 3 marzo. Da almeno un mese, e nonostante le infinite trattative che tra i dem hanno fatto cadere e risorgere a fasi alterne praticamente ogni aspirante candidato al parlamento, ad essere certa è solo la candidatura tra le file Pd del democristiano Pierferdinando Casini.

Alla faccia di tutte le lamentele e dei maldipancia di una base a cui non basterà turarsi il naso per dare il proprio voto a quello che fino a ieri era l’avversario di sempre, e che oggi è semplicemente un «alleato serio e fedele».

Se Casini è al sicuro, e con ogni probabilità sarà schierato in un collegio uninominale blindato, di quelli dove si dice sia impossibile perdere, le cose si fanno complicatissime per Sergio Lo Giudice. Senatore dem uscente, presidente onorario dell’Arcigay e una vita nell’attivismo lgbt, Lo Giudice assieme a Monica Cirinnà ha lavorato più di tutti per l’approvazione della legge sulle unioni civili, ci ha messo la faccia anche quando non conveniva ed è stato capace di portare a casa un provvedimento che, comunque lo si giudichi, ha fatto avanzare i diritti civili in Italia.

Per gli scontri interni al Pd, alla voglia di Renzi di fare piazza pulita dei suoi avversari interni e al gioco delle correnti (anche locali) almeno fino a ieri notte era Lo Giudice e non Casini a rischiare di restare fuori dalla lista degli eleggibili.

Un paradosso che fa gridare molti allo scandalo: fuori un campione dei diritti lgbt, dentro l’ormai lodatissimo democristiano del Family Day. «Casini ama la sua città, anche a Roma porta sempre la sciarpa rossoblu del Bologna», è arrivato a dire qualcuno per giustificare politicamente la sua candidatura.

«Un partito che blinda Casini e non riserva lo stesso vantaggio a uno come Sergio Lo Giudice – dice il presidente del Cassero Lgbt center di Bologna Vincenzo Branà, – dà un segnale chiaro a noi come comunità lgbt. Perché al di là dei programmi elettorali ci sono le persone che quei programmi li rendono attuabili in parlamento».

Non è solo il Cassero a insorgere. Tutta la comunità lgbt italiana si è mobilitata. «La buona politica – è la dichiarazione del circolo Mario Mieli di Roma – si misura anche con la scelta delle persone giuste e con il riconoscimento del lavoro svolto; la cattiva politica si misura anche con scelte dettate dalla fedeltà al capo partito a prescindere del valore e del lavoro svolto».

Aspettando che si componga definitivamente il puzzle delle candidature per le prossime elezioni politiche, resta la situazione in città, con un sindaco che, applaudito da suoi, ha proposto l’apertura di un nuovo Cie cittadino. Si tratta dello stesso Merola che nel 2013 definì «cuore di tenebra» il centro di identificazione ed espulsione di Bologna. E solo 12 mesi fa, alle prime indiscrezioni di stampa sull’apertura di nuovi mini-Cie in tutta Italia, disse seccamente: «Da noi non passeranno».

Ma il vento politico è evidentemente cambiato. Tant’è vero che ad applaudire la proposta del sindaco giovedì c’era anche il segretario del Pd di Bologna Francesco Critelli. Lo stesso che assieme a tutta la maggioranza Pd nel 2013 votò in Consiglio comunale per impedire la riapertura del Cie cittadino.

Un «centro di rimpatri per delinquenti». La proposta del sindaco di Bologna Merola, che al ministro Minniti ha offerto la propria città per l’apertura di nuovo Centro per il rimpatrio dei migranti (il nuovo nome dei Cie), non è passata inosservata.

A bollare come «leghista» l’idea del primo cittadino democratico non c’è solo l’associazione Antigone, che da sempre si occupa dei diritti dei detenuti.

Il deputato Giovanni Paglia di Liberi e Uguali ha deciso di citare le stesse parole che Merola usò 5 anni fa: «Mi chiedo che bisogno ci sia di utilizzare la peggiore demagogia di destra per giustificare il ritorno del cuore di tenebra della città».

«Ricordo al sindaco che i Cie e i Cpr – dice Yasmine Accardo della campagna LasciateCIEntrare – sono usati per rimpatri a volte illegittimi, una settimana fa abbiamo purtroppo assistito all’espulsione di 30 nigeriani che stavano ancora aspettando una risposta alla loro richiesta di asilo. In un Cie non si entra in quanto delinquenti ma in quanto persone che lo Stato italiano vuole espellere».

«Se dici che il Cie è disumano tutti sono contrari al Cie, se però dici che ci metti i delinquenti allora fai una sparata di destra, guadagni pure consensi, e soprattutto fai passare il concetto che i Cie possano essere utili. Non è così», dice l’avvocato Guido Savio dell’Asgi, l’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione.

«Le dichiarazioni del sindaco di Bologna – spiega il ricercatore dell’Università di Bari Giuseppe Campesi, tra i fondatori dell’Osservatorio pugliese sulla detenzione amministrativa – rilanciano un vecchio cortocircuito, e cioè la tendenza a confondere il diritto penale con il diritto dell’immigrazione. Se in città c’è un problema di ordine pubblico va risolto col diritto penale, i Cie non sono la soluzione».

Infine Patrizio Gonella di Antigone: «Le dichiarazioni come quella del sindaco di Bologna rischiano di alimentare il clima di paura e di odio che respiriamo oggi, vorremmo che almeno le forze che si ispirano ai principi liberali e democratici cambino linguaggio, e poi magari anche politica».