Il nostro è un mondo «meticcio», risultato delle continue migrazioni di piante, animali ed esseri umani. Mauro Ferrari dedica il suo libro Noi siamo erbacce. Cos’è la botanica sociale a coloro che colorano il mondo, per sentirsi meno «padroni» e più «ospiti» del pianeta in cui viviamo, dando valore alla diversità per progettare e attuare percorsi di con-vivenza. La complessità dei fenomeni naturali e sociali ha bisogno di chiavi interpretative che l’autore riesce ad adoperare con grande efficacia.

LA PREFAZIONE DI BRUNO Bignami e la postfazione di Gianni Tamino arricchiscono il testo. Viene utilizzata la metafora delle erbacce per analizzare le trasformazioni che sono avvenute in natura e in ambito sociale e per comprendere le relazioni tra gli esseri umani e l’ambiente. Le erbacce sono piante considerate inutili o dannose che vanno estirpate, diserbate chimicamente, anche se sono essenziali per la biodiversità e la sostenibilità degli ecosistemi. Le erbe infestanti sono tali perché non in sintonia con le coltivazioni che abbiamo impiantato. Nella pianura Padana, dove Ferrari vive tra il fiume Oglio e il Po, tutte le piante sono considerate erbacce ad eccezione della monocoltura di turno. Un esempio che mostra come la categoria dell’utilità viene adoperata in funzione dei nostri interessi e non in relazione all’ambiente naturale.

MA LE ERBACCE, AVVERTE l’autore, si diffondono indipendentemente dai desideri degli esseri umani e sono considerate malerbe fino a quando qualcuno non ne individua le virtù. Una specie vegetale che in un ambiente viene considerata una erbaccia, in un altro contesto gode di grande interesse. L’ecosistema in cui viviamo è costituito da un insieme di piante native (autoctone) e importate (alloctone), connesse tra loro e con le specie animali (compresa quella umana).

COME AFFERMA STEFANO Mancuso, molte delle piante che coltiviamo hanno abbandonato i luoghi dove dovevano rimanere confinate, sono migranti di lunga durata che si sono bene integrate. Il pomodoro e il mais, arrivati dall’America, sono diventate piante «tipiche», ritenute fondamentali per il nostro sistema agro-alimentare. Le categorie utile-dannoso sono provvisorie e possono essere messe in discussione. La perdita di biodiversità in campo vegetale è uno degli aspetti più gravi che si sta manifestando negli ecosistemi a causa delle scelte produttive e di una sistematica attività di diserbo.

TUTTE LE VARIETA’ VEGETALI, come tutte le specie animali, svolgono un ruolo fondamentale nel mantenere l’equilibrio degli ecosistemi. I processi in atto hanno prodotto alterazioni che incidono profondamente sulla vita di piante e animali. Anche l’aumento della presenza di specie vegetali e animali che noi definiamo invasive è dovuto agli squilibri ambientali. Ferrari ci dice che anche molti fenomeni sociali, come le erbacce, si manifestano senza una programmazione e assumono un carattere di imprevedibilità. La botanica sociale, un campo di studio interdisciplinare, attraverso la metafora delle erbacce ci può aiutare a comprendere fenomeni sociali «incoltivati».

LE MIGRAZIONI DI ESSERI UMANI provenienti da altre aree del pianeta vengono viste come «invasioni» e i migranti come un «pericolo» da confinare o allontanare. L’etichetta di «erbaccia» viene assegnata ai migranti e ai gruppi sociali portatori di «instabilità».

IN REALTA’, E’ L’AUMENTO delle povertà e delle disuguaglianze il principale fattore che produce instabilità e determina una cultura di rigetto nei confronti delle diversità e di qualunque elemento «non utile». Di fronte a fenomeni che sfuggono al controllo programmato, si arriva a utilizzare la metafora botanica dell’estirpare, diserbare. Ferrari ci ricorda che quello di migrare è un diritto universale, perché nessuno sceglie dove nascere, ma cerca di emigrare dove può. Le migrazioni sono sempre più legate a crisi economiche, guerre, cambiamenti climatici che i paesi «sviluppati» hanno provocato con la loro attività predatoria nei paesi d’origine dei migranti.

L’AUTORE SI CHIEDE perché facciamo fatica a creare relazioni con altri soggetti umani, anche se la nostra storia è il risultato di scambi, e cerca di individuare quali sono le possibili forme di convivenze tra erbacce, umani ed ecosistemi antropizzati. Il paradigma dell’utilità ha pervaso la nostra cultura e regola i nostri comportamenti in campo sociale e ambientale. Sono molti gli esempi che vengono fatti per evidenziare come le vicende storiche hanno generato processi di accettazione o esclusione in campo biologico, materie prime, cibo, invenzioni, arte, trasformando quello che era utile in dannoso e viceversa. Ferrari indica nello studio del paesaggio agrario e dei suoi abitanti animali e vegetali il punto di partenza per mettere in relazione la dimensione locale con quella sovralocale, perché solo accettando la sfida della convivenza e riconoscendo il valore della diversità si può tenere insieme il vicino e il lontano in uno stesso orizzonte ecologico e sociale.