Con Gaza negli occhi, gli studenti di molte università nel mondo hanno messo in questione le collaborazioni scientifiche, tecnologiche e industriali con Israele. E oggi manifestano in molte città, a Roma un corteo raggiungerà il ministero degli esteri.

L’università di Torino ha, per prima, rinunciato a partecipare al bando del ministero degli esteri, motivando la decisione con il possibile uso bellico delle ricerche comuni e con l’educidio in corso a Gaza. La reazione a tale decisione ha ricordato che «le università sono ovunque luoghi e cenacoli di pensiero critico». L’analoga decisione a Pisa ha suscitato la reazione negativa dell’Associazione amici della Normale, secondo cui «istituzioni universitarie come la Normale devono preoccuparsi di valorizzare sempre la scienza, la cultura e l’arte come elementi di dialogo e di raccordo universale».

Giusto. Un luogo di dialogo e di pensiero critico va conservato e difeso, a maggior ragione in guerra, quando è rimasto l’unico luogo. Quindi gli scambi scientifici con Israele vanno conservati e difesi. Ma quella terra ha due popoli. Se ad esempio si hanno scambi con Haifa o Tel Aviv bisogna conservare o attivare anche gli scambi con Bir Zeit o Al Quds, cioè con una delle quindici università in Cisgiordania o una delle undici università di Gaza, attualmente bombardate. È difficile? Eppure, la forza non deve determinare le condizioni del dialogo, che esiste in quanto dialogo binazionale. Questa è l’espressione usata dagli attivisti sul posto, la parte migliore del popolo israeliano e palestinese che con ostinazione da anni coltiva un dialogo binazionale – del «noi e loro» anziché «o noi o loro» – al di là dei torti e lutti subiti o delle sofferenze vissute.

Donne e uomini si concentrano sulla democrazia e sui diritti da realizzare ora, anche e soprattutto in Cisgiordania e Gaza. Le università statali italiane dovrebbero verificare la legalità degli accordi già esistenti con Israele. Gli accordi con università israeliane costruite negli insediamenti in Cisgiordania sono illegali quanto gli insediamenti stessi, è il caso dell’università Ariel. Tornando al bando Maeci, la Normale di Pisa ha motivato la sua decisione sugli scambi con il rispetto dell’articolo 11 della Costituzione, il ripudio della guerra come soluzione dei conflitti. Si tratta allora di evitare accordi che possano avere un uso militare. Niente sembra più conforme al «dialogo e al raccordo universale» invocati dall’associazione pisana. Eppure, c’è chi ha contestato questo argomento, dicendo che allora si dovrebbero mettere in discussione anche le ricerche del celebre alunno Enrico Fermi. Il fisico peraltro non mancò di applicare il suo spirito critico anche alla bomba, in particolare a quella all’idrogeno.

Soprattutto, l’attuale crisi climatica impone con urgenza altre priorità: innovare per ridurre le emissioni, anziché investire nella distruzione che le moltiplicano. Il 3 aprile è emersa la notizia dell’uso del programma Lavender, l’intelligenza artificiale per individuare i membri di Hamas nel popolo di Gaza, gli obiettivi da uccidere. L’inchiesta, tradotta dal manifesto, mostra quanto sia pericoloso avere a disposizione una macchina di calcolo come garanzia d’imparzialità per strutturare la propaganda militare, mentre la macchina non è fatta per emettere giudizi singoli. È un esempio di ciò che l’università dovrebbe discutere, prima di impegnarsi a svilupparla. Dopo la normale di Pisa, in questi giorni il Cnr ha elaborato delle linee guida che vanno nel senso della moratoria sulle collaborazioni militari, pur mantenendo il principio della contrarietà al boicottaggio. Non collaborare sul piano bellico non significa essere nemici o non amici di Israele, ma semplicemente non partecipare alle sue guerre, né alle guerre di altri, proprio in coerenza con l’intento di preservare le università e la ricerca come spazi di dialogo. Tra i due opposti della cosiddetta neutralità degli scambi scientifici e il boicottaggio c’è quindi una soluzione più impegnativa ma importante per la funzione dell’università: il dialogo, il pensiero critico in azione.

***L’autrice è docente all’Ecole des hautes études en sciences sociales, Parigi.