Scrittrice ungherese, ma nata a Rio de Janeiro, storica della letteratura e critica letteraria, Zsófia Bán vive e lavora a Budapest dove è docente associata all’Università Eötvös Loránd, al Dipartimento di Americanistica. Tradotte in diverse lingue, le sue opere affrontano spesso temi legati alla memoria personale e culturale, ai traumi storici e a questioni di genere.

Zsófia Bán

Cosa si aspettata dal blocco dell’opposizione che si presenta al voto di domenica?

Speriamo che sappia dimostrare che può esserci un cambiamento. Gli ungheresi hanno bisogno della consapevolezza di essere cittadini che possono godere di diritti civili fondamentali e non sudditi di un sistema neofeudale, di uno stato mafioso, o addirittura schiavi; pensiamo ad esempio agli stipendi degli insegnanti. In questi ultimi dodici anni il regime del Fidesz ha creato un sistema che opera inculcando paura, pregiudizi e odio. Molti hanno timore di protestare, questo vale soprattutto nei piccoli centri delle zone di provincia dove tutti si conoscono.

Così ora sono di particolare importanza le manifestazioni degli insegnanti basate sulla disobbedienza civile, anche se il governo con una disposizione recente, ha addirittura privato questi ultimi del diritto di sciopero. Detto questo, ritengo che in Péter Márki-Zay la coalizione anti-Orbán abbia trovato un rappresentante in grado di rivolgersi non solo agli abitanti delle città ma anche a quelli delle campagne, e anche questo aspetto viene avvertito dal governo come un pericolo. Speriamo che, dopo dodici anni di abusi di potere, la coalizione ristabilisca la dignità degli ungheresi.

Facciamo un bilancio di questi dodici anni di governo Orbán.

Vanno menzionate, prima di tutto, la riscrittura integrale della Costituzione e il controllo del sistema mediatico. Il governo ha poi smantellato il sistema di contrappesi e riscritto in modo arbitrario le regole elettorali a suo favore dando luogo a continue frodi elettorali. Questo sistema di potere ha consegnato la maggior parte delle grandi università pubbliche del paese a fondazioni private che però operano con fondi pubblici e hanno consigli di amministrazione in cui agiscono solo persone vicine al Fidesz. Non possiamo eleggere un presidente, lo fa il partito governativo che nomina un fantoccio, come nel caso di Katalin Novák. Potremmo citare ancora il declino dell’istruzione pubblica e la chiusura delle istituzioni culturali non governative e di quelle alternative. In definitiva abbiamo avuto dodici anni di devastazione, incitamento al pregiudizio, alla xenofobia e all’odio verso le minoranze: i rom, gli omosessuali; dodici anni di ripristino di un ordine feudale patriarcale basato su una demagogia nazionalpopulista, tutto ciò nel cuore dell’Europa del XXI secolo.

In quale modo il governo ha condizionato la sfera culturale?

Diversi piccoli teatri alternativi sono stati costretti a chiudere, lo stesso è avvenuto a una serie di riviste famose, per mancanza di fondi. Così, una delle tattiche dell’opposizione è far circolare dei samizdat nelle zone di provincia. Sotto Kádár la gente aveva preso a considerare con sospetto quanto veniva diffuso dai media del regime. In pratica, aveva imparato a leggere tra le righe, che è una competenza acquisita dalle generazioni più anziane. I più giovani, quelli che hanno meno di 60-65 anni, credono felicemente a quello che sentono.

A fianco all’Accademia delle Scienze e delle Arti sono state istituite accademie alternative nelle quali il denaro scorre senza restrizioni e i cui membri ricevono alti stipendi. Laddove il sistema non è riuscito ad assorbire istituzioni già esistenti ne ha creato di parallele, altre sono state distrutte, vedi il caso dell’Università di Arti teatrali e cinematografiche che ha dato vita al solo movimento di resistenza civile e di successo di questi ultimi dodici anni, insieme a quello degli insegnanti.

È corretto affermare che la propaganda e le leggi del governo Orbán hanno provocato anche seri danni sociali? Penso ad esempio alle disposizioni anti-immigrazione e alla cosiddetta legge anti-Lgbtq.

Purtroppo è così. Siamo stati la vergogna dell’Europa nel periodo dell’arrivo dei profughi siriani quando Orbán ha sollevato una nuova cortina di ferro al confine meridionale. Ora abbiamo di nuovo un’emergenza in questo senso, ma i rifugiati ucraini sono accettati di buon grado dal sistema perché sono bianchi e cristiani, e quelli della minoranza ungherese sono potenziali elettori. Ormai tutti sanno che, col sostegno della neoeletta presidente della repubblica e il suo coinvolgimento quando era ministra delle Politiche Familiari, è stata promulgata una legge che vieta la diffusione di «propaganda omosessuale» nei libri e nelle pubblicazioni destinati ai minori. O per lo meno censura argomenti di questo genere. Tutto ha avuto inizio quando una esponente di un partitino di estrema destra ha distrutto pubblicamente una raccolta di fiabe classiche trascritte secondo una prospettiva egualitaria.

Poi, anche il mio libro per bambini (Vagánybagoly és a harmadik Á – Avagy mindenki lehet más, «La civetta geniale e la terza A – Ovvero si può essere tutti diversi», selezionato da una giuria di bambini nel 2020 come libro per l’infanzia) è stato fatto a pezzi pubblicamente nell’atrio dell’edificio che ospita la camera dei deputati perché uno dei personaggi della storia ha due mamme e una ragazzina nera viene accolta in una terza elementare.

Anche se l’opposizione non vincerà, può essere vista finalmente come un nuovo inizio e una prima forma di cambiamento?

È sicuramente un passo molto importante. Questa prospettiva è mancata prima, eppure ce ne sarebbe stato un grande bisogno nel 2014 e nel 2018, ma gli interessi dei singoli partiti e gli ego politici hanno prevalso su tutto il resto con risultati noti. Mi auguro che non si debba aspettare a lungo perché si arrivi a una svolta. Abbiamo tutti una sola vita.