Oggi a Napoli, nell’Antisala dei baroni del Maschio Angioino, si terrà una tavola rotonda sul diritto dei lavoratori a esprimere la propria opinione, anche se contraria e critica nei confronti del datore di lavoro. Sembrerebbe un principio assodato, garantito per tutti i cittadini dall’articolo 21 della Costituzione, ulteriormente garantito dall’articolo 1 dello Statuto dei Lavoratori. Eppure, in questa fase di crescente smantellamento delle tutele sul lavoro, vediamo un numero crescente di lavoratori licenziati a causa delle loro critiche, anche se espresse in orari e ambienti extralavorativi.

Emblematico è il licenziamento di cinque operai Fiat del Polo logistico di Nola, per aver inscenato il suicidio dell’amministratore delegato Sergio Marchionne, schiantato dal rimorso di aver provocato, con le sue politiche aziendali, tanti drammi tra i lavoratori dello stabilimento. Una manifestazione pacifica, all’esterno della fabbrica, che utilizzava l’arma della satira.

Nel solo 2014, a pochi mesi di distanza si tolgono la vita due operai, entrambi conosciutissimi perché molto attivi sindacalmente. L’ultimo suicidio, quello di Maria Baratto, crea un clima tesissimo fra i lavoratori, che trova sfogo nella pacifica messa in scena del suicidio di Marchionne. La Fiat ha licenziato in tronco i cinque operai. Un’esagerazione che va inquadrata nello scenario di estrema debolezza dei lavoratori, attanagliati dall’insicurezza dell’occupazione nella crisi e dal ridimensionamento del sindacalismo operaio nelle fabbriche in generale, e nella Fiat in particolare.

Già di per sé questa decisione di licenziamento rappresenta un campanello d’allarme, ma a risultare davvero inquietanti sono le due sentenze emesse dal tribunale di Nola sul ricorso dei cinque licenziati, che hanno confermato pienamente il provvedimento aziendale. Due sentenze «d’indirizzo», sono state definite da specialisti del diritto del lavoro. Sentenze che aprono una strada pericolosa nella regolamentazione dei rapporti di lavoro – non solo nelle fabbriche, ma dappertutto.
Parlare in modo critico del proprio datore di lavoro, fare satira su un dirigente o un amministratore influente per criticarne l’operato diventa per i lavoratori un atto proibito. Il licenziamento dei cinque operai viene confermato non perché questi abbiano commesso un reato. Gli stessi giudici non riscontrano infatti alcun rilievo penale. L’unica loro colpa è di aver criticato l’azienda, causandole un presunto e imprecisato danno d’immagine.

Il nesso esistente fra suicidi e condizione di precarietà economica viene negato dai giudici, malgrado l’evidenza statistica (una frequenza di suicidi fra gli operai di Nola quasi 100 volte più alta della media nazionale) e il fatto che già negli anni ’80 moltissimi cassintegrati Fiat a Torino si erano tolti la vita. Lo stesso biglietto lasciato da uno dei due suicidi di Nola, che spiega come motivo del suo gesto proprio la drammatica situazione economica e lavorativa, viene inspiegabilmente considerato ininfluente.

Lo stesso tentativo di dare la maggiore pubblicità possibile alla protesta diventa per i giudici di Nola una colpa e non la dimostrazione della natura pubblica e sindacale dell’iniziativa, dettata dal disperato bisogno di spezzare il silenzio e l’oblio calato in tutti questi anni sulla loro condizione.

Togliere il diritto di esprimere le proprie opinioni agli operai nelle fabbriche è un atto grave. La storia ci insegna come la deriva che porta immancabilmente alla negazione di tutti i diritti spesso inizi nei luoghi di lavoro.

Molte sono le avvisaglie del fatto che esprimere un’opinione contraria ai potenti sta diventando sempre più difficile, e se i lavoratori dipendenti sono quelli più colpiti, anche tra gli intellettuali si cominciano a contare i primi casi.

Nella prima sentenza di Nola, il licenziamento viene giustificato anche per la poca credibilità che avrebbe un’azienda nel tenere fra i suoi dipendenti persone che esprimono critiche così radicali alla propria direzione aziendale. Ci vengono in mente i nomi di Gabriele Bortolozzo e di Tonino Di Francia e delle loro lotte, per un lungo periodo solitarie, contro tutto e tutti, azienda, sindacati e partiti, per denunciare il primo le morti da cloruro di vinile al Petrolchimico di Porto Marghera e il secondo quelle da amianto alla Sofer di Pozzuoli. Se il principio espresso dal giudice di primo grado all’epoca fosse già diventato norma consolidata queste eroiche lotte non ci sarebbero state, semplicemente perché i due operai sarebbero stati licenziati preventivamente su due piedi.

Alessandro Arienzo, Franco Rossi, Andrea Vitale

Tra i firmatari, il sindaco di Napoli Luigi De Magistris, il vicepresidente emerito della Corte Costituzionale Paolo Maddalena, il presidente dell’associazione Giuristi democratici di Napoli Danilo Risi, l’avvocato Alessandra Ballerini, la giornalista Francesca Fornario, il parroco don Peppino Gambardella, oltre a numerosi scrittori, artisti e intellettuali, tra cui Luca Bellino, Luciano Canfora, Ascanio Celestini, Corrado Cimmino, Erri De Luca, Roberto Esposito, Silvia Luzi, Moni Ovadia, Daniela Padoan, Valeria Parrella, Marco Revelli, Annamaria Rivera, Daniele Sepe e Guido Viale