Le condizioni di lavoro nell’industria dell’animazione giapponese sono un argomento di dibattito che, da un paio di anni a questa parte, è emerso nella coscienza popolare sempre di più. Lunghi thread di animatori su X o interviste dove i lavoratori nel campo animato denunciano le condizioni lavorative, i salari bassi, o gli orari prolungati sono oramai la norma. Queste sono derivate da lacune strutturali che hanno accompagnato la crescita del medium fin dai suoi inizi, ma anche dal successo planetario dell’animazione made in Japan e da una produzione massiccia che non vuole fermarsi, a cui i vari studi di animazione non riescono a stare dietro.
Circa un anno fa, per cercare di migliorare le condizioni dei lavoratori dell’industria animata del Sol Levante è stata creata la Nippon Anime & Film Culture Association (NAFCA), un’organizzazione che riconoscendo lo status di fenomeno culturale mondiale per gli anime, allo stesso tempo denuncia come i luoghi di produzione siano diventati posti che spesso spingono gli animatori verso la povertà a causa dei bassi salari e dei lunghi orari lavorativi.
Nelle ultime settimane l’associazione ha pubblicato i risultati di un sondaggio condotto tra dicembre 2023 e gennaio 2024, riguardo le condizioni di lavoro nell’industria degli anime, si tratta naturalmente di un’indagine limitata, ma che offre alcuni interessanti spunti di riflessione.

CIO’ che salta all’occhio fin da subito sono le ore lavorative, in media, coloro che hanno risposto, lavorano infatti 219 ore al mese, per fare un raffronto, la media giapponese è di 162 ore mensili. Dal lato della parità di genere, almeno stando a questo sondaggio, la differenza fra le ore lavorative tra uomini e donne non sembra essere significativa, così come anche quella che riguarda il salario, differenza che invece è molto più sentita in altri settori lavorativi dell’arcipelago.
Dove la differenza retributiva mensile è più marcata è invece fra le differenti fasce di età, quasi il settanta per cento di coloro che hanno meno di trent’anni ha infatti dichiarato di guadagnare meno di 200 mila yen al mese (circa 1200 euro). Questo è dovuto probabilmente al fatto che più del trenta per cento degli intervistati lavora con contratti temporanei o a progetto e che questi molto spesso sono composti dalle generazioni più giovani. Un’altra grande differenza che emerge da questo sondaggio rispetto al passato, ma anche da altri usciti negli ultimi tempi, è il modo in cui coloro che hanno meno di trent’anni imparano il lavoro.

IN PASSATO l’insegnamento diretto da parte dei più anziani era il metodo più comune, recentemente però le scuole d’arte o gli stage specializzati sembrano aver rimpiazzato il sistema di apprendistato che tradizionalmente era centrale nel campo dell’industria animata in Giappone. Per quel che riguarda molestie e abuso di potere nell’industria, il sondaggio conferma quello che già si sapeva, il 63 per cento degli intervistati ha dichiarato di essere stato oggetto di abusi, specialmente registi e coloro che lavorano nella catena produttiva, mentre per quel che riguarda le molestie sessuali, le donne sono quelle più colpite.
Un argomento spinosissimo ma che comincia a circolare fra animatori e addetti ai lavori è quello dell’utilizzo di AI per alleviare la mole di lavoro in certe fasi produttive. Sembra che l’intelligenza artificiale non sia vista in maniera malvagia a priori da chi lavora nel campo dell’animazione, ma che anzi possa essere usata per ottenere più libertà creativa, un’affascinante nodo gordiano che al momento non pare possa essere sciolto.

matteo.boscarol@gmail.com