Cultura

Niobe, artista delle donne

Niobe, artista delle donne«Essere LeAli» nello studio di Teresa Mangiacapra a Palazzo Serra di Cassano a Napoli

«Le Nemesiache» Addio a Teresa Mangiacapra, con la sorella Lina fu una delle maggiori personalità della scena artistica napoletana e una delle forze motrici del femminismo

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 11 maggio 2018

«Teresa Mangiacapra ha smesso di respirare. Niobe, suo nome d’arte (forse) e la sorella Lina Mangiacapre hanno dissotterrato i miti, invertendo e rivoltando, liberandoli dal peso delle interpretazioni»: così Stefania Cantatore a nome dell’Unione donne in Italia (Udi) di Napoli ha salutato ieri la morte di una delle maggiori personalità della scena artistica partenopea nonché una delle forze motrici del femminismo. I funerali saranno celebrati stamattina alle 11 nella Chiesa degli Artisti a piazza Trieste e Trento.

Un ritratto dell’artista in India (foto di Fausta Base)

Teresa e Lina, Niobe e Nemesi, con il cognome declinato in modo differente per un errore all’anagrafe, hanno attraversato cinquant’anni di percorsi umani e politici. Nel 1970 danno vita al gruppo Le Nemesiache, due anni dopo Lina compone la prima opera teatrale femminista, Cenerella, che poi tramuta in film. Nel 1976 il gruppo realizza la Rassegna del Cinema Femminista di Sorrento. Nel 1977 fondano la cooperativa culturale Le tre ghinee (richiamandosi all’opera di Virginia Wolf), nel 1987 Lina crea il premio cinematografico Elvira Notari assegnato alla Mostra del cinema di Venezia, lo stesso anno fonda e dirige il trimestrale Manifesta.

Accanto a Nemesi c’è sempre Niobe. Le due condividono passioni e visioni politiche, Teresa stessa ha una sua urgenza creativa che la tiene ancorata all’arte, ma non confinata in un unico mezzo espressivo. Darsi un nuovo nome è un atto fondativo: «Niobe – spiegava – , trafitta letteralmente più e più volte dal dolore di vedere ammazzare le proprie creature, ha solo una via di scampo: trasmutarsi in pietra che a sua volta sarà trasformata in acqua; le sue lacrime corrodono la pietra fino a scioglierla in un fiume che corre verso il mare dove annegano mali e sofferenze. La chiave dell’interpretazione è dunque la possibilità per me di trasmutare il dolore creando le immagini che popolano la mia fantasia: angeli, luce, volo, bellezza».

Nello studio a Monte di Dio, a Palazzo Serra di Cassano, nascono le sue sculture che poi espone in siti archeologici, chiese, chiostri.

Scrive racconti e, lo scorso febbraio, pubblica il suo primo romanzo, Domenica 20 luglio 2008 confessioni di un ex killer: «La parola per me è importante – raccontava – perché, come e forse più dell’azione, è responsabile nella costruzione della realtà». Dai testi brevi ha ricavato lavori multimediali, diapòfavole, come La principessa dagli occhi di vetro e Desiderea. Dalle foto ha creato pittofotografie: istantanee in digitale manipolate al computer, stampate su tela e ritoccate con colori acrilici o a olio. «Architetta di pensieri» la definisce Esther Basile, filosofa, poetessa e amica. Teresa Magiacapra è anche in Cittàlimbo Archives (2015), l’opera di Brigataes ideata per il Museo Madre, che raccoglie le testimonianze dei protagonisti dell’arte a Napoli dal 1950 al 1980.

Dopo la morte della sorella Lina nel 2002, si è dedicata all’archivio delle donne e del femminismo a Napoli con l’urgenza di non perdere la memoria di una stagione e di un gruppo di lavoro che non ha mai smesso di agire: «Il femminismo – spiegava – ha significato per me essere soggetto di storia, appropriarsi di spazi mentali, scoprire, capire sapere. Ma solo la parola non basta, allora abbiamo ideato la psicofavola da portare in scena, da portare quindi all’esterno dandole più forza. Il femminismo combacia con la coscienza di me, una coscienza che poteva esprimersi ed esserci nella realtà. Ma più che una femminista sono una Nemesiaca cioè un essere alla ricerca totale e sincera della propria coscienza».

Teresa Mangiacapra ha collaborato con Luisa Festa, che quest’anno ha curato la mostra Fotografia di una storia: 1968-2018. Femminismo e movimenti delle donne a Napoli e in Campania. «Una sezione è dedicata alle Nemesiache – racconta Festa – così mi ha dato le foto che ritraggono il gruppo che entra in un manicomio, il Frullone. Mettevano in scena le psicofavole: un’immagine le ritrae mentre danzano con le recluse. Era la volontà di liberare le donne da tutte le catene, come quelle delle istituzioni totali». E poi c’è la foto alla Libreria Incontro di Chiaia: era il primo meeting delle femministe napoletane con quelle di Padova. «Ha voluto che esponessi anche la foto che racconta il lavoro delle Nemesiache durante la ricostruzione post terremoto del 1980 perché sono sempre state nelle vicende politiche della città e quella per loro era un’occasione importante: ricostruire Napoli inserendo la prospettiva delle donne».

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