La città portuale di Niigata si trova nell’omonima prefettura a circa due ore di treno dalla capitale dell’arcipelago nipponico, sulla costa occidentale, quella che dà sul Mare del Giappone. Famosa in patria per la sua produzione di sake e di riso, da un paio di anni a questa parte la città è diventata anche sinonimo di animazione, grazie ad un festival lanciato nel 2022 e che quest’anno ha visto la sua seconda edizione svolgersi dal 15 al 20 marzo scorso. È fatto abbastanza particolare che in un paese dove l’animazione è non sono una delle industrie pop più stimate in patria e all’estero, ma anche un medium attraverso il quale ogni anno vengono prodotte opere che sorprendono per innovazione e freschezza, non abbia avuto fino ad ora una manifestazione dedicata a tutte le facce dell’animazione.

In realtà, fin dal 1985 esiste il festival dell’animazione di Hiroshima, una manifestazione biennale che però è più focalizzata sull’animazione sperimentale dei cortometraggi. Con il Niigata International Animation Film Festival l’arcipelago ha, finalmente, un evento che celebra tutte le possibilità del medium animato, dai lavori più sperimentali a quelli più commerciali e con importanti retrospettive che mettono in luce la storia dell’animazione nel paese asiatico.

La seconda edizione della manifestazione si è svolta seguendo questi parametri, da una parte una selezione ufficiale che ha presentato 12 lavori provenienti da aree geografiche più disparate come Canada, Francia, Ungheria, Brasile, Spagna, Colombia, Thailandia e naturalmente Giappone, dall’altra un programma di sezioni laterali che ha mostrato quello che di più interessante sta succedendo nell’ambito animato nel resto del mondo.

Tra i film in competizione il Grand Prix è andato al canadese When Adam changes di Joël Vaudreuil, un lavoro realizzato con uno stile che ricorda molto da vicino quello di Beavis and Butthead dell’MTV del tempo che fu e che è ambientato proprio negli anni novanta in Quebec. Adam è un adolescente il cui corpo muta a seconda dei brutali commenti che riceve da parte di chi lo circonda, un’opera acida e ricca di sarcasmo non certo per tutti i gusti.

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Un altro riconoscimento, l’Evolve Award, è andato a Mars Express, diretto dal francese Jérémie Périn, una storia di fantascienza ispirata e che omaggia i classici del genere giapponese, su tutti Ghost in the Shell, e uno dei lavori che più ha colpito spettatori ed addetti ai lavori presenti a Niigata. Ambientate in un prossimo futuro dove l’essere umano «puro» non esiste più, fra ibridi, cyborg o più semplicemente intelligenze artificiali, le vicende seguono la detective privata Aline Ruby e il suo partner androide che su Marte vanno alla ricerca di un famoso hacker, ma che finiscono per scontrarsi con qualcosa di più grosso che implica il futuro delle AI.

Davvero una delle visioni più interessanti dell’intero festival, non scopre niente di nuovo dal punto di vista dei temi affrontati, il futuro dell’intelligenza artificiale, lo stato dell’umanità, le grandi multinazionali; ma il tono e il ritmo con cui l’azione viene messa in immagini e la caratterizzazione dei protagonisti è davvero degna di nota. Gli altri due premi sono andati a Maboroshi, lungometraggio animato diretto dalla giapponese Mari Okada e alla stop-motion The Inventor di Jim Capobianco e Pierre-Luc Granjon che porta sullo schermo gli ultimi anni di vita, in Francia, di Leonardo da Vinci.

Interessante è stata la visione di Bizarre Fish from the Abyssal Zone con cui l’artista brasiliano Marão mette in scena la perdita di memoria del nonno e altre fantasie, quasi surrealiste, sviluppate in più di un decennio, il tempo in cui il lavoro è stato in produzione.
Non riuscitissimo, ma affascinante porta aperta sull’industria animata tailandese è Mantra Warrior: The Legend of The Eight Moons 2023, attraverso il quale Jinanavin Veerapatra mescola folklore del suo paese, fantascienza e ovvi riferimenti stilistici al mondo degli anime giapponesi.

Nella sezione «Trend of the World» sono state presentate alcune opere che negli ultimi anni hanno lasciato una forte traccia nel mondo dell’animazione, come The Breadwinner (2017) di Nora Twomey, Junk Head, la sorprendente stop-motion giapponese realizzata in modo totalmente indipendente da Takahide Hori nel 2017, o Summer Ghost (2021) di loundraw. Quest’ultimo è una delle voci più interessanti nel panorama dell’animazione giapponese indipendente degli ultimissimi anni, tanto per capacità di creare una storia affascinante e mai banale, adolescenti alle prese con fantasmi, interni ed esterni, ma soprattutto per l’evidente talento registico che il giovane animatore possiede.

Sempre restando nell’ambito dell’animazione indipendente giapponese, a Niigata è intervenuto anche Kenji Iwaisawa, autore di uno dei più sorprendenti debutti animati degli ultimi anni, On-Gaku: Our Sound del 2019. Qui il regista ha portato un’anteprima della sua nuova animazione, Hina, e fra le altre cose, ha anche fornito un’interessante opinione sull’uso delle AI nell’industria animata. Secondo Iwaisawa, che lavora di solito con il rotoscopio, le intelligenze artificiali applicate all’animazione indipendente potrebbero essere un mezzo, per animatori o autori che lavorano nel settore, con cui esprimere in maniera più libera la propria autorialità, in un’industria, sempre secondo il giapponese, dove è sempre più difficile creare qualcosa di diverso da quello che il mercato impone.

Nella stessa sezione, «Trend of the World», sono stati anche presentati quindi alcuni work in progress, opere ancora in fase di produzione, oltre a Hina, sono stati proiettati alcuni minuti di Amélie ou la Métaphysique des Tubes di Eddine Noel, artista che già aveva lavorato all’ottimo The Summit of the Gods come layout artist e il progetto Chinese Queer, dall’omonimo fumetto di Seven.

Uno dei lavori più affascinanti presentati al festival di Niigata è stato Knit’s Island, documentario interamente realizzato all’interno di un videogioco di sopravvivenza, DayZ Standalone. I registi canadesi Ekiem Barbier, Guilhem Causse e Quentin L’helgoualc’h hanno speso 963 ore all’interno del gioco, un periodo che copre anche la pandemia, e usando tre avatar hanno intervistato e catturato le immagini dell’universo ludico e dei suoi partecipanti, fornendo anche dei sorprendenti momenti riflessivi e quasi contemplativi. In questo modo Knit’s Island non solo offre uno spaccato sul mondo che sta dietro a chi gioca, alcuni degli intervistati riflette proprio su questo, ma illumina anche sulle potenzialità estetiche dei videogiochi, qui declinate verso il non-fiction, e sulla creazione di mondi altri.