Il 18 luglio scorso il Consiglio Comunale di New York ha approvato un disegno di legge che impone a Airbnb di pubblicare i nomi e gli indirizzi degli host che affittano tramite la piattaforma. É l’ultimo atto di una battaglia che dura da dieci anni tra la multinazionale del turismo e le città.

SAN FRANCISCO è stata una delle prime città ad analizzare l’impatto degli affitti brevi turistici sul mercato residenziale. La culla di Airbnb è la città con gli affitti più alti al mondo, mediamente 3.500 dollari al mese. I valori immobiliari sono aumentati del 15% nell’ultimo anno e gli sfratti del 40% nell’arco di tre anni.
A maggio 2015 un report del Budget Analyst Office ha fatto il punto sulla situazione dopo l’introduzione di una nuova legge. A febbraio 2015 gli affitti brevi inferiori ai 30 giorni sono stati legalizzati per un massimo di 90 giorni l’anno, solo quando l’host è residente, previa registrazione presso il Comune e l’attribuzione di un permesso. Prima, l’affitto breve era vietato ma ampiamente e illegalmente praticato. Lo studio analizza i dati di Airbnb, scelta per la posizione predominante nel mercato, estratti e resi disponibili da Inside Airbnb.

PRIMO PASSO, DISTINGUERE tra annunci privati e commerciali. Il criterio scelto è il numero di notti in cui l’alloggio è affettivamente affittato, con una soglia fissata a 58 notti per un intero appartamento e 88 per una stanza. Gli host privati sono definiti come coloro che affittano occasionalmente la casa per generare un reddito supplementare, quelli commerciali come non residenti che generano un profitto.

La nuova norma ha innescato una battaglia legale. A giugno 2016 la città ha obbligato le piattaforme di intermediazione a pubblicare solo annunci di host autorizzati, pena una multa di mille dollari al giorno per ogni annuncio anomalo. Dopo un ricorso respinto Airbnb e HomeAway avevano tempo fino a gennaio 2018 per rimuovere tutti gli annunci irregolari. Scaduto il termine, gli annunci erano dimezzati.

OGGI LE PIATTAFORME hanno un nuovo sistema di registrazione con il numero di permesso, e gli host devono inviare un resoconto trimestrale al Comune. L’amministrazione sta lavorando per far sì che Airbnb invii direttamente al Comune i dati su ogni transazione mediata.

A NEW YORK, il primo mercato statunitense di Airbnb con circa 50mila annunci, il Consiglio Comunale ha approvato il 18 luglio scorso una misura che obbliga Airbnb a fornire i nomi e gli indirizzi degli host.

Qui la crisi abitativa ha raggiunto proporzioni da emergenza umanitaria con oltre 60mila persone senza tetto e affitti alle stelle. Gli affitti brevi inferiori a 30 giorni sono illegali dal 1929, secondo la Multiple Dwelling Law. Una legge del 2011 ha ribadito che l’uso di appartamenti in edifici con più di tre unità abitative è limitato alla residenza permanente, con la possibilità di ospitare fin a due persone. Nel 2013 il procuratore generale dello Stato di New York ha citato in giudizio Airbnb chiedendo i dati. Dopo un ricorso respinto, la multinazionale li ha forniti: secondo il rapporto del procuratore il 72% degli annunci a New York era illegale e il 6% di host commerciali gestiva il 30% degli affari.

PER LA PRIMA VOLTA emergeva la vera portata del fenomeno. New York è popolata di «ghost hotels»: migliaia di stanze e appartamenti in interi edifici, circa 1.200, presi in affitto da agenti immobiliari a prezzi superiori ai valori di mercato e riaffittati su Airbnb. A dicembre 2015 Airbnb annunciava pomposamente la pubblicazione dei dati su New York. Poco dopo Inside Airbnb ha rivelato che la multinazionale aveva «purgato» dal sito un migliaio di annunci commerciali nei giorni precedenti la pubblicazione. La multinazionale tornò all’attacco con un nuovo slogan, One home-One host annunciando l’eliminazione di oltre duemila annunci di host con più di un alloggio. Annunci che non sarebbero mai dovuti esistere e che avevano già danneggiato il mercato residenziale, secondo Inside Airbnb, che dimostrava come nonostante il nuovo slogan Airbnb favorisse gli annunci commerciali, perché circa seimila case continuavano a essere affittate per più di sei mesi l’anno. A ottobre 2016 la Anti-Airbnb Advertising Law ha reso penalmente perseguibile anche solo pubblicizzare su Airbnb un affitto in violazione della MDL.

L’ULTIMO ATTO della battaglia lo scorso 18 luglio, con la storica mozione che obbliga la multinazionale a rendere pubblici i dati. É il colpo più duro mai inferto ad Airbnb nei suoi dieci anni di attività, una vittoria per chi da tempo chiede trasparenza e la tutela del diritto alla casa.