Netanyahu prima istiga contro gli Stati uniti i suoi ministri più estremisti e poi è costretto a fare retromarcia per placare gli animi. Israele è un «paese sovrano» che prende le «decisioni per volontà del popolo e non sulla base di pressioni dall’estero, compresi i migliori amici» ha risposto il premier israeliano al presidente Joe Biden secondo cui Israele «non può continuare sulla strada» della riforma giudiziaria duramente contestata per settimane da centinaia di migliaia di israeliani e sospesa lunedì scorso da Netanyahu ma solo per qualche settimana. Ad aggravare la rabbia di Netanyahu verso l’Amministrazione Biden è stata anche la nota della Casa Bianca in cui si esclude una visita negli Usa del capo di governo israeliano «nel breve termine». Israele «non è un’altra stella sulla bandiera americana. Siamo una democrazia e mi aspetto che il presidente Usa lo comprenda» ha tuonato il ministro della Sicurezza, il suprematista Itamar Ben Gvir, intervenuto a sostegno del primo ministro. Simili le dichiarazioni di altri ministri tanto che Netanyahu è dovuto tornare in campo per mettere a tacere gli attacchi a Biden e per sottolineare che l’alleanza tra Stati uniti e Israele è «indissolubile». In ogni caso che realmente conta per il governo israeliano è la riforma giudiziaria che il ministro della giustizia Yariv Levin (Likud) è determinato a far approvare nella prossima sessione della Knesset (che inizierà a maggio), incurante dei negoziati in corso tra maggioranza e opposizione per la ricerca di un compromesso sui punti più contestati. Per questo la protesta popolare non cessa. Ne abbiamo parlato con il professore David Enoch, filosofo e docente di filosofia politica all’Università ebraica di Gerusalemme. Enoch è una delle voci più autorevoli contro la riforma della giustizia.

Sono state confermate tutte le manifestazioni contro Netanyahu. Perché non vi convince la sospensione della riforma annunciata lunedì sera dal primo ministro?

Perché Netanyahu mente così come ha mentito su tante altre questioni in passato. Ho trovato paradossale che lunedì il premier si sia congratulato con i suoi sostenitori per essersi radunati «spontaneamente» a Gerusalemme. Assurdo. Tutti sanno che lui e i suoi collaboratori avevano lavorato tutto il giorno per organizzare una ampia manifestazione a favore del governo. Anche da questo episodio secondario si capisce che (Netanyahu) non ha buone intenzioni e non va creduto.

Se le sue vere intenzioni sono altre, il primo ministro cosa spera di ottenere con la sospensione dell’iter della riforma giudiziaria alla Knesset?

Netanyahu sa di essere debole ed è soggetto a forti pressioni che arrivano da più parti. La sua situazione è insostenibile. I suoi alleati di governo lo tirano da una parte mentre la protesta popolare contro la riforma ha raggiunto dimensioni enormi contro le sue aspettative. Domenica quando ha licenziato il ministro della difesa Gallant (che aveva chiesto lo stop della riforma, ndr) nel giro di poco più di un’ora gli israeliani si sono riversati in strada a protestare come mai avevano fatto in passato. A ciò si sono aggiunte le preoccupazioni per l’economia e una crisi senza precedenti negli apparati militari. Netanyahu doveva fare qualcosa. Non so quali saranno gli sviluppi futuri. So per certo che l’annuncio di lunedì non è il risultato di una decisione strategica presa dal premier per il bene del paese ma una scelta obbligata in questa fase.

Lei è scettico ma i leader dell’opposizione, i centristi Yair Lapid e Benny Gantz, hanno avviato trattative con Netanyahu. Li considera degli ingenui oppure esiste una possibilità concreta di rivedere il progetto di riforma della giustizia presentato dal governo?

È una domanda fondamentale. Sono sincero, non ho fiducia (nell’opposizione parlamentare), in particolare in Benny Gantz. Non escludo in modo categorico che possano emergere delle soluzioni creative ma, per quanto mi riguarda e riguarda la massa degli israeliani, non potranno contenere alcun compromesso sulle questioni centrali, come la separazione dei poteri in un sistema democratico e il ruolo della Corte suprema. Mi auguro che Gantz sia consapevole delle linee rosse invalicabili tracciate dai cittadini israeliani.

La sospensione annunciata da Netanyahu dovrebbe terminare dopo le feste ebraiche e nazionali. Poi gli israeliani torneranno a manifestare in massa?

Ci sono varie possibilità. Una è che il governo rinunci alla riforma ma non ci credo, Netanyahu e i suoi alleati vogliono la riforma e faranno di tutto per realizzarla. Un’altra è che maggioranza e opposizione raggiungano un compromesso. Un’altra ancora è che tra qualche settimana o qualche che mese ci ritroveremo al punto in cui eravamo prima di lunedì. In quel caso spero che gli israeliani siano a disposti a protestare con la stessa determinazione che hanno mostrato sino ad oggi.

Lei difende il sistema democratico in Israele. Non crede che questa democrazia non debba più convivere con l’occupazione dei Territori palestinesi che dura da 56 anni. E che vada affrontata la questione dei palestinesi in Israele, gli arabo israeliani, i cittadini di serie B. Solo qualche gruppo minoritario sta sollevando questi temi durante le manifestazioni.

Sono temi centrali e ne discutiamo tra colleghi all’università. Ritengo che ci sia un collegamento tra democrazia e fine dell’occupazione ma non che le due questioni siano legate l’una all’altra in modo indissolubile. Almeno non è così per l’opinione pubblica israeliana che appare concentrata solo sui pericoli derivanti dalla approvazione della riforma giudiziaria di Netanyahu. Non sono ottimista. Da quanto abbiamo visto nelle scorse settimane difficilmente emergerà qualcosa di nuovo e importante per porre termine all’occupazione.