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Vite riflesse dentro lo specchio della StoriaGuy Nattiv si è fatto conoscere con un cortometraggio, Skin, che gli è valso un oscar nel 2019. Il suo Golda è stato presentato al pubblico fuori concorso, nella selezione Berlinale special. Il film comincia con l’udienza della commissione speciale Agranat che, all’indomani della fine della guerra del Kippur (1973), indaga sulla condotta del governo diretto dal primo ministro Golda Meir. Nonostante questo, il film risuona continuamente con il nostro presente. In maniera diretta, come quando il personaggio interpretato da Helen Mirren ricorda che Golda Meir era un’ebrea ucraina, la quale nell’infanzia ha vissuto i pogrom che i russi scatenavano nel suo villaggio. Negli anni settanta, l’Unione sovietica sostiene militarmente e politicamente i regimi arabi che hanno invaso Israele: «Sono sempre i russi» – commenta Golda. In maniera più indiretta, con il racconto di Yom Kippur che, in filagrana, è chiaramente sovrapponibile con il 24 febbraio 2023: un paese che vive con la spada di Damocle dell’invasione del proprio vicino e il cui leader, avvertito dai servizi segreti dell’imminenza di questa, non sa se crederci o meno, salvo risvegliarsi con le colonne di carri armati che si dirigono verso la capitale.Una commissione indaga sulla guerra del Kippur e le responsabilità del primo ministro

LO STESSO leader deve fare i conti sia con il nemico numericamente superiore e, più subdolamente, con l’esitazione dei propri alleati e in particolare degli Stati uniti. Contro ogni attesa, dopo alcune debacle, l’invasore è infine fermato e respinto. In entrambi i casi, l’invasione è preceduta e preparata da un discorso ideologico : lo Stato da invadere non è un vero Stato. In entrambi i casi, la fine della guerra implica (o implicherà) il suo riconoscimento.

I CONFLITTI tra potenze sono sempre o quasi uguali. Umani, fin troppo umani. Quello che cambia, nella storia del mondo, è il modo in cui sono rappresentati e raccontati – non solo per chi è lontano dal fronte ma anche per chi è sul terreno di battaglia e deve rappresentarsi l’insieme. Se la novità del conflitto russo-ucraino è l’uso massiccio dei droni, su questi vengono montati sia bombe che macchine da ripresa. Chi si ricorda la prima guerra in Iraq, ha in mente le immagini dei traccianti nel cielo di Bagdad. La lista potrebbe continuare. Ogni guerra infatti ha un proprio regime di immagini. E ognuno di questi regimi di immagini costituisce un terreno specifico tattico e strategico sul quale si combatte per imporre una propria narrativa.

IN QUESTO SENSO, Golda è al tempo stesso uno strano tuffo nel passato. Il regista cerca di far entrare lo spettatore nella pelle del più noto leader di Israele. Con qualche rara eccezione, i venti giorni dell’invasione sono rappresentati in maniera estremamente soggettiva. Così come Golda Meir li avrebbe effettivamente vissuti al suo posto di primo ministro. È quindi un film di guerra senza, o quasi, immagini di guerra o di azione.
Con l’eccezione di quelle che gli arei spia dell’epoca avrebbero potuto catturare, e dalle quali si distingue poco o nulla. È attraverso il suono che Golda immagina il conflitto che da lontano deve dirigere. Attraverso il rumore assordante delle esplosioni, attraverso le grida dei soldati che dalla radio rimpallano nella war room dove la presidente segue l’andamento delle battaglie accanto ai suoi generali. Che questi urlino: «ci stanno massacrando» oppure l’opposto «li stiamo massacrando» fa poco o nulla di differenza. Le cose sono andate in un certo modo, la storia di Yom Kippur si può studiare. Guy Nattiv mostra soprattutto un gruppo di persone che gioca alla guerra come lanciando dei dadi, aspettando il risultato per abbattersi o esultare. Anche il rapporto della commissione della corte suprema si può studiare. Il film, in ultima analisi, assolve completamente Golda Meir dalle accuse e dai sospetti di non aver previsto o gestito al meglio la guerra. Quanto allo spirito del sionismo e al suo tragico destino, il film non si pone alcuna domanda.