Ramadan insanguinato in Afghanistan. Continua infatti la serie di attentati contro i luoghi che, nel mese sacro per i musulmani, dovrebbero essere più protetti: le moschee.

Dopo le esplosioni e le vittime del 22 aprile in una moschea di Kunduz e del 22 aprile in una di Mazar-e-Sharif, ieri un attentato ha colpito la sala comune adiacente alla moschea di “Khalifa Sahib”, non lontano dal palazzo Darulaman, nella zona occidentale della capitale, Kabul. Secondo alcune ricostruzioni, centinaia di fedeli stavano recitando l’atto devozionale del zikr – considerato eretico dai fanatici che uccidono nel nome di Allah – quando è avvenuta l’esplosione, proprio di venerdì, giorno di festa.

Secondo il portavoce talebano della polizia provinciale di Kabul, ci sarebbero almeno 10 vittime e 40 feriti. Un bilancio che, secondo diverse fonti, è molto più basso rispetto a quello reale. Dall’ospedale Emergency di Kabul fanno sapere che sono 23 i feriti arrivati nella struttura nel cuore della capitale, 2 dei quali già morti.

Per il portavoce dell’Emirato, Zabiullah Mujahed, l’attentato è opera di «circoli estranei al Paese e all’Islam». I Talebani condannano dunque l’esplosione, particolarmente ignobile, fanno sapere, perché compiuta durante il Ramadan. Ma molti ricordano come anche loro non abbiano risparmiato né civili né Ramadan, per tornare al potere. Ora sotto l’Emirato devono combattere i gruppi che puntano ad alimentare il conflitto settario, divisioni interne, interferenze regionali, in un’area in cui le capitali fibrillano sempre di più di fronte alla minaccia dello Stato islamico.

LA “PROVINCIA DEL KHORASAN”, la branca locale del gruppo, ha rivendicato la maggior parte degli attentati delle scorse settimane nel Paese, ma è attiva anche oltre-confine, in Pakistan, e sta conducendo una campagna dal respiro globale per vendicare, così recita la propaganda, l’uccisione degli ultimi due autoproclamati “califfi”.

In Afghanistan l’obiettivo, in particolare, è la minoranza sciita degli hazara: oltre all’attentato recente alla moschea sciita di Mazar-e-Sharif, giovedì scorso 9 civili hazara sono stati uccisi mentre viaggiavano su due minibus, nei dintorni di Mazar, mentre tornavano a casa per l’Iftar, il pasto serale che rompe il digiuno nel Ramadan. Ieri, a Kabul, sembra invece che l’obiettivo fosse il sufismo sunnita, diffuso in Afghanistan ma eretico per il jihadismo-salafita.

LA TENDENZA È PREOCCUPANTE. Secondo Action on Armed Violence, aprile è stato il mese più drammatico per i civili nell’Afghanistan del “nuovo corso” e il più letale dall’ottobre scorso: nel corso di quest’anno sono almeno 147 le persone uccise, 250 i feriti: l’81% di morti e feriti si registrano proprio ad aprile.

Eppure proprio ieri l’Amir ul-mumineen, la «guida dei fedeli» per i Talebani, mullah Haibatullah Akhundzada, ha reso pubblico il tradizionale messaggio di felicitazioni per l’imminente Eid al-Fitr, la festività con cui si celebra la fine del Ramadan. Si tratta del primo messaggio del nuovo Emirato: il leader dei Talebani (o chi firma per lui) rivendica la battaglia compiuta, invita tutti gli afghani, inclusi quelli che hanno lasciato il Paese, a tornare in patria, dove verrà garantita l’amnistia, parla di libertà d’espressione, diritti garantiti, rassicura le capitali regionali e internazionali, riconosce «un mondo trasformato in un piccolo villaggio». E si dice sicuro: «In paragone agli ultimi 20 anni, gli afghani oggi godono di più diritti, vita, sicurezza e dignità».

MA LA REPRESSIONE PROCEDE, la sicurezza c’è solo sulla carta. Nuovi venti di guerra all’orizzonte: Sami Sadat, ex generale del vecchio regime a capo delle forze speciali nell’Helmand, in un’intervista alla Bbc ha detto di essere pronto a un’offensiva militare contro i Talebani. I civili, come sempre nel mezzo. Chi è lontano, guarda con preoccupazione: oggi dalle 9 alle 13 a Roma, a piazza della Repubblica, una parte della diaspora afghana organizza una manifestazione «contro il genocidio degli hazara».