«Ad impossibilia nemo tenetur». Neanche gli alberi – che non possono essere infiniti in città già costruite all’infinito – riescono ad azzerare l’inquinamento. Il sito «Mongabay» analizza il caso Kolkata (già Calcutta), capitale del West Bengal. I 15 milioni di abitanti sopportano elevati livelli di Pm2,5; i tassi di cancro del polmone e di malattie cardiache e respiratorie sono molto alti («Indian Journal of Medical Research», 2022).

Noti i colpevoli (come nel caso di New Delhi, la regina dello smog): 4,5 milioni di veicoli che vanno a diesel; incenerimento di rifiuti, legname e foglie compresi; industrie; fornelli. E non basta che a Kolkata, come fa notare il «Centre for Science and Environment», oltre un quarto delle persone vada a lavorare a piedi e metà in bus, bici, treno, risciò o taxi. Tuttavia, in situazioni meno tremende, gli alberi sono portatori di salute psico-fisica, e non solo perché migliorano la qualità dell’aria.

Lo sottolinea la Società italiana di medicina forestale (Simef). Benessere psicofisico, ringiovanimento mentale, salute polmonare e ricetta anticancro e antistress: il contatto quotidiano con il verde offre grandi benefici anche in città. Il progetto di Nuovo Policlinico a Milano prevede sul tetto un giardino pensile terapeutico, a 20 metri di altezza.

Quando negli Usa, fra il 1990 e il 2007, 100 milioni di frassini furono uccisi da un parassita, nelle quindici contee con maggiore moria, l’impatto in termini di malattie cardiovascolari e respiratorie fu evidente. Non per nulla il «Biophilic Cities Journal» enuncia la regola 3-30-300 per il verde: ogni abitante dovrebbe poter vedere da casa almeno 3 alberi di taglia significativa; ogni città dovrebbe avere almeno il 30% di copertura arborea; ogni cittadino dovrebbe avere uno spazio verde a meno di 300 metri. Eppure, lamenta Ugo Corrieri, psicoterapeuta e presidente Simef, agli alberi si fa un generalizzato Tso (Trattamento selvicolturale obbligatorio). Con soldi e danni pubblici.