Sono arrivata al romanzo all’età di cinquant’anni, tardi. Dietro di me tutta una carriera di ricerca nell’ambito dell’insegnamento di Storia Economica Contemporanea all’Università. Sicuramente, i lunghi anni di approfondimento e studio di questa disciplina mi hanno segnato profondamente, hanno forgiato i miei strumenti di lavoro e, quando non sono più riuscita a trovare il mio ruolo politico e militante nella Francia della grande svolta neoliberale degli anni Ottanta, ho riscoperto le potenzialità della letteratura e ho sentito il desiderio di raccontare dei pezzi di vita della mia generazione.

UN ASPETTO PREPONDERANTE si imponeva: il mio primo romanzo avrebbe dovuto raccontare i sei mesi di conflitto sociale al quale avevo partecipato, dall’interno dei laboratori di sartoria, nel quartiere di Sentier a Parigi nel 1980, perché è stata la mia esperienza sindacale più ricca di emozioni, di avventura e di umanità. E questo scontro non aveva lasciato praticamente nessuna traccia nella storia sindacale ufficiale. Mi sono messa al lavoro e ho raccontato quello che avevo visto e vissuto durante quei sei mesi, riguardava tutto un settore economico importante per l’economia francese, la produzione del prêt à porter, 11.000 lavoratori, sparpagliati in migliaia di piccoli atelier nel centro di Parigi, un settore completamente illegale.

Tutti i lavoratori erano immigrati senza documenti, senza quindi le tutele derivanti dall’applicazione del Codice del Lavoro, la struttura dell’organizzazione del settore, infatti, molto rigida, permetteva alle aziende di evitare il versamento degli oneri sociali e di praticare l’evasione fiscale su larga scala. Tutto il mondo sapeva, i poliziotti di quartiere agli ordini dell’Alta Moda, chiudevano gli occhi. Man mano che sviluppavo il mio romanzo, il Sentier prendeva forma: terreno illegale, ma coperto dalle aziende e dalle Istituzioni, con una propria legge interna che facevano rispettare, un ambiente violento dove regnava però una forte coesione umana.

Il Sentier, nel suo insieme, era un vero e proprio personaggio da romanzo noir, il romanzo che raccontava il crimine come un meccanismo costante e integrato nella società, non come una serie di atti individuali che si potevano identificare, punire ed eliminare.

È IL ROMANZO NOIR, quindi, che mi ha scelto, più che essere stata io a scegliere lui. Ho continuato, in seguito, a interessarmi di criminalità economica, tematica che si ritrova nella struttura di fondo di molti miei romanzi. Ho appreso molto. Ho moltiplicato le interviste e gli incontri nelle aziende. Prima constatazione: come, in gran parte dei casi, la ricerca del profitto sia la chiave delle decisioni manageriali, che il mezzo per raggiungerlo sia legale o meno non ha molta importanza in sé, è un rischio come un altro che bisogna calcolare senza sbagliarsi. Lo stesso ragionamento vale circa i diversi sistemi che regolano le società avanzate e che interessano le norme relative all’ambiente, alla salute e via dicendo.
Non mi abituavo a questa brutale evidenza.

SE DA UNA PARTE il raggiro della legge può, in numerosi casi, essere messo in atto dalle singole aziende, quando prende più rilevanza e tende a reiterarsi, il crimine organizzato può offrire dei mezzi, relativamente sicuri e a basso prezzo, per aggirare la legge e, in questo modo, la collaborazione con le organizzazioni criminali diviene per l’impresa un mezzo per migliorare il calcolo dei rischi. Nella società francese, queste collaborazioni criminali sono state frequenti sul terreno dell’impero coloniale ed ex coloniale. È stata un’abitudine acquisita durante il susseguirsi delle interazioni?

I grandi capitani d’impresa hanno spesso la forte tendenza a pensare che le leggi siano fatte per i ladruncoli di strada, non per loro, convinzione condivisa anche da alcuni dei nostri uomini politici. I legami tra grandi imprese e crimine organizzato sono ancora più stretti nell’ambito del riciclaggio di denaro. La stessa espressione «paradisi fiscali» è magnificamente suggestiva, quasi pittoresca, lì il denaro nero del crimine e il denaro sporco dei singoli, e delle imprese, fa affari insieme e torna sul mercato pulito, pronto per nuove avventure. Un recente rapporto della Cia stima che il 30/40 per cento del denaro mondiale passa per i paradisi fiscali. L’obiettivo… indebolire gli Stati?

Un’ultima precisazione su questo punto. Nel mondo la corsa alla globalizzazione e all’uniformità culturale, la grande criminalità organizzata resta uno dei pilastri delle specificità culturali nazionali.
La mafia americana non è la mafia italiana, né l’una né l’altra sono la Triade cinese e così via.
Gli autori di romanzi noir hanno ragione nel voler fugare gli stereotipi che provengono dall’estero e di battersi in un corpo a corpo con la realtà del Paese che raccontano, mantenendo la massima aderenza al reale.

Infine, concludendo, una considerazione: mi stupisco che il lavoro degli storici prenda raramente in considerazione (che io sappia, ma sono fuori dal circuito da molto tempo) la dimensione criminale presente nelle nostre società. Uno ne conosco, che ho letto a fondo, che chiaramente si esprime sul tema: Storia criminale degli Stati Uniti di Franck Browning e John Gerassi.

UNO STUDIO DI LUNGO CORSO, dall’arrivo dei coloni fino agli anni Settanta, in cui gli autori cercano di descrivere e analizzare come si è evoluta la visione criminale e della giustizia nelle società, e, di conseguenza, come il crimine e i criminali modellano le società stesse. Un rapporto dialettico appassionante che ci conduce dai nostri coloni puritani (e criminali) fino alle città affogate nella droga, passando attraverso la schiavitù, il genocidio degli Indiani, l’organizzazione delle masse di immigrati della fine del XIX secolo a opera delle mafie, la violenza estrema del fordismo.

Riprendo una frase conclusiva del suddetto saggio: «Il crimine fa parte integrante del sistema americano. È un mezzo per fare molti soldi, un sistema per regolare gli affari, un mezzo di sussistenza per i poveri».
Molto lontano dalla Francia? Non così tanto.

 

Da oggi la quarta edizione del festival

Si inaugura oggi, per concludersi domenica, la IV edizione del Festival Treviso Giallo che si svolge nella prestigiosa sede del Museo di Santa Caterina, in piazza Botter. Tra i molti ospiti che interverranno: Lucio Luca, Valerio Varesi, Guido Sgardoli, Riccardo De Palo, Jacopo De Michelis, Paolo Di Stefano, Fabrizio Roncone, François Morlupi, Alessandro Manera, Michael Robert Michon, Marco Franzoso, Marika Piva, Dominique Manotti, Valerio Calzolaio, Lucia Visca, Paolo Roversi, Fulvio Luna Romero, Rita Cascella, Patrizia Rinaldi, Veronica Pivetti, Chicca Maralfa, Ludovico Del Vecchio, Giuseppe Festa. Per informazioni: www.trevisogiallo.it