Il cessate il fuoco è la chiave per porre fine al ciclo di violenza e dolore in Medio Oriente, ha affermato il segretario di Stato americano Antony Blinken. Ma Blinken non era a Washington, o al Palazzo di Vetro, o in una qualsiasi capitale calda della crisi mediorientale in pieno allargamento. Era a Ulaanbaatar, capitale della enorme e rarefatta Mongolia, impegnato a tenersi stretti gli alleati asiatici contro i piani di espansione della Cina. Il Medio oriente sembra andare avanti per i fatti suoi, verso una guerra molto peggiore di quella che c’è già.

Blinken ha lanciato un appello affinché i paesi «facciano le scelte giuste nei giorni a venire» – senza nominare direttamente Israele, Iran o Hamas. «In questo momento, il percorso che sta seguendo la regione va verso più conflitti, più violenza, più sofferenza, più insicurezza ed è fondamentale interrompere il ciclo e ciò inizia con il cessate il fuoco su cui abbiamo lavorato, che credo sia non solo realizzabile, ma che debba essere raggiunto».

Appelli che arrivano mentre il vuoto di potere negli Stati Uniti diventa sempre più evidente. Il New York Times ha evidenziando come le dichiarazioni dello stesso Blinken sul fatto che gli Usa non sapessero nulla del piano di Israele di sferrare un attacco in Iran, confermino un pericoloso vuoto di potere nella regione e la debolezza statunitense. «Si pensava che sarebbero stati Vladimir Putin, Xi Jinping o Kim Jong-un a trarre vantaggio da questo periodo delicato – ha affermato sul New York Times Vali Nasr, professore di affari internazionali presso la Johns Hopkinse e ex collaboratore del dipartimento di Stato nell’era Obama – Nessuno avrebbe scommesso che lo facesse un alleato americano. Non è mai positivo per gli Usa essere visti come se non avessero il controllo».

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E di controllo questa volta non c’è traccia. Sono mesi che diplomatici e analisti internazionali temono che i continui sconvolgimenti politici negli Usa possano aprire una porta alle aggressioni, sia nella guerra intrapresa dalla Russia in Ucraina che per le ambizioni nucleari della Corea del Nord o per i progetti espansionistici della Cina. Invece, a meno di 100 giorni dall’elezione del nuovo presidente, la crisi più grave è scoppiata in Medio Oriente, per mano di uno dei maggiori alleati degli Usa, crisi che si estende e che ora gli Stati Uniti – che a Israele hanno sostanzialmente lasciato mano libera – potrebbero avere poche o nessuna capacità di scongiurare.

Lo stesso Blinken parla di cessate il fuoco mentre è impegnato ini un tour di 11 giorni in sei diverse nazioni asiatiche, tour che ha lo scopo di siglare quanti più accordi (anche militari) possibili fra l’Asia e l’amministrazione Biden prima che sia tardi. Per tre anni e mezzo la Casa Bianca ha insistito sul fatto che gli Usa sono una potenza del Pacifico, cercando di rassicurare i partner asiatici sul fatto che gli impegni in materia di sicurezza rimarrebbero intatti anche se Trump dovesse vincere.

Il segretario alla difesa Lloyd Austin domenica ha annunciato «la decisione storica» di potenziare il comando delle truppe americane in Giappone, evidenziando le minacce poste dalla Cina nell’Indo-Pacifico. È stato firmato anche il memorandum per un ulteriore accordo storico di sicurezza con Giappone e Corea del Sud. Blinken, con le sue controparti di Australia, India e Giappone si è impegnato a rafforzare la sicurezza marittima nella regione. E con l’antico nemico Vietnam il segretario di Stato ha discusso la vendita degli aerei da trasporto militare Lockheed Martin C-130 Hercules, in quello che rappresenta il più grande accordo militare del Vietnam.