A pochi giorni da un’importante conferenza dell’Onu sull’Afghanistan, botta e risposta tra Richard Bennett, relatore speciale delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani in Afghanistan, e Zabiullah Mujahid, portavoce dell’Emirato islamico, il governo dei Talebani restaurato nell’estate 2021. Per Bennett, che martedì ha presentato al Consiglio per i diritti umani dell’Onu il suo ultimo rapporto, «l’istituzionalizzazione da parte dei Talebani del loro sistema di oppressione delle donne e delle ragazze e i danni che continuano a perpetrare dovrebbero sconvolgere la coscienza dell’umanità»; per Mujahid, quel rapporto si basa sulla volontà di «alcuni individui all’interno delle Nazioni unite… di presentare un’immagine distorta» dell’Emirato, mettendo in ombra «i progressi significativi con alcuni limitati problemi».

A LEGGERE le 21 pagine del rapporto di Bennett, i problemi appaiono tutt’altro che limitati. Basato su 128 interviste (95 afghani e 33 esperti internazionali, di cui 107 donne), dedicato al «sistema istituzionalizzato di discriminazione e segregazione», nel rapporto si sostiene che l’attacco contro le donne «non solo è in corso, ma si sta intensificando». Le «violazioni sono così gravi ed estese che sembrano costituire un attacco diffuso e sistematico contro la popolazione civile che può equivalere a crimini contro l’umanità». Soltanto nel periodo tra giugno 2023 e marzo 2024, sono 52 gli editti con i quali sono state ulteriormente contratte e negate le libertà di donne e ragazze. Complessivamente, è stata istituita una vera e propria «architettura dell’oppressione», con la negazione del diritto all’istruzione, al lavoro, alla libertà di movimento, alla salute e alla giustizia. Gli effetti sono visibili già oggi, ma avranno impatti «trans-generazionali», tali da indebolire il tessuto sociale del Paese per decenni.

Per opporsi all’oppressione di genere, «è necessario il pieno impegno di tutta la comunità internazionale e delle sue istituzioni». A partire dal riconoscimento «che il regime sta commettendo fondamentali crimini internazionali, incluso il crimine contro l’umanità di persecuzione di genere». Da qui, l’incoraggiamento agli Stati «a sostenere la codificazione dell’apartheid di genere come crimine contro l’umanità» e l’invito a usare «i meccanismi internazionali di responsabilità come la Corte penale internazionale e la Corte internazionale di giustizia».

PLAUSI DA PARTE delle maggiori organizzazioni per i diritti umani. Amnesty International accoglie con soddisfazione l’appello di Bennett e nota che finora «gli sforzi per rendere responsabili» i Talebani dei loro abusi «sono stati deboli. Da oltre 1.000 giorni, a 2 milioni di ragazze è stata vietata l’istruzione, mentre decine di donne che protestavano sono scomparse, detenute arbitrariamente e torturate». Per Human Rights Watch, «gli Stati dovrebbero anche intentare una causa alla Corte internazionale di giustizia per la mancata applicazione della Cedaw (la Convenzione per l’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne, ndr) da parte dei Talebani, di cui l’Afghanistan è parte».

TRA LE RACCOMANDAZIONI agli Stati incluse nel rapporto di Bennett, quella di evitare ogni normalizzazione dei rapporti con i Talebani, fino a quando non saranno compiuti passi in avanti. Vale anche per la conferenza dell’Onu con gli inviati speciali per l’Afghanistan, che si terrà il 29 giugno e l’1 luglio a Doha, in Qatar. Senza l’inclusione delle donne afghane e della società civile, senza discutere dei diritti umani, l’intero processo perderebbe credibilità, sostiene Bennett. Ma i Talebani non ne vogliono sentir parlare. E minacciano di far saltare il tavolo, se verrà modificato l’agenda tematica, orientata su economia e aiuti umanitari. Per l’Onu, la loro presenza è fondamentale: i Talebani non sono stati invitati alla prima conferenza e hanno disertato la seconda. Ora dicono che ci saranno. A dispetto delle raccomandazioni di Bennett, accusa qualcuno, l’Onu ha già accettato il compromesso, pur di avere al tavolo negoziale l’Afghanistan.