È bastato un ricorso al Tar per mostrare come le quarantene alle navi Ong fossero una tigre di carta. Dall’inizio della pandemia solo queste navi sono finite in isolamento ogni volta che hanno toccato un porto italiano al termine delle missioni di soccorso. Un’iniziativa di ResQ ha messo fine a questa prassi.

L’organizzazione italiana è l’ultima arrivata nel Mediterraneo centrale, dove ha realizzato una missione ad agosto e una a ottobre. La seconda è terminata il 15 del mese scorso a Pozzallo con lo sbarco di 58 migranti. Come di consueto per le navi umanitarie il locale Ufficio di sanità marittima, aerea e di frontiera (Usmaf) ha disposto 10 giorni di quarantena. Una misura d’ufficio visto che tutti i tamponi avevano dato esito negativo.

STAVOLTA, PERÒ, ResQ ha fatto ricorso al Tar di Catania. Il tribunale amministrativo ha disposto un’ordinanza istruttoria dando un giorno di tempo all’Usmaf per spiegare i motivi della quarantena. L’Usmaf, e quindi il ministero della Salute da cui dipende direttamente, ha preferito revocare il provvedimento in autotutela. «Non aveva alcuna base legale. In base ai Dpcm, ma anche all’esperienza comune delle altri navi, se le persone sono asintomatiche la quarantena non viene disposta. Dall’inizio della pandemia è successo solo alle Ong: l’ennesima misura per ostacolare la loro operatività», spiega l’avvocato Livio Neri, che ha firmato il ricorso.

Gli effetti dell’azione legale non si sono limitati al caso di ResQ. Il 23 ottobre sempre a Pozzallo è arrivata la Sea-Watch 3 con 406 migranti, quattro giorni dopo la Geo Barents di Msf ha sbarcato 367 naufraghi a Palermo. In entrambi i casi tutti i tamponi hanno dato esito negativo. Era accaduto anche in altre missioni, ma per la prima volta le navi non sono finite in quarantena.

IN ISOLAMENTO sanitario a Trapani è invece la Aita Mari. Il 24 ottobre ha sbarcato 105 persone. Tra loro c’erano alcuni positivi e l’Usmaf ha decretato 10 giorni. La Ong non ha impugnato il provvedimento, ma la presenza di migranti affetti da Covid-19 non rende automaticamente la misura legittima. Per equipaggi e personale viaggiante la legge prevede eccezioni, che dovrebbero valere ancor di più su navi dotate di protocolli medici anti-contagio. In ogni caso le Faq del ministero della Salute dicono che gli asintomatici vaccinati che hanno avuto contatti con positivi, come l’equipaggio dell’Aita Mari, devono fare 7 giorni di isolamento più tampone nei casi ad «alto rischio», nessuno in quelli a «basso rischio».

Il caso delle «quarantene selettive» era stato sollevato dal manifesto a febbraio scorso. Dalle inchieste giornalistiche era nata un’interrogazione parlamentare al ministro Roberto Speranza (Articolo 1) presentata dal senatore Gregorio De Falco (gruppo misto). De Falco chiedeva conto di una «misura discriminatoria disposta dall’Usmaf che non trova fondamento in ragioni di carattere sanitario». L’interrogazione non ha avuto risposta.

NEL FRATTEMPO anche sul fronte dei fermi amministrativi si registrano novità importanti. La perseveranza delle Ong sembra aver pagato, almeno per ora. Il punto di svolta si è verificato alle 12.30 del 21 agosto, quando la Sea-Watch 3 ha mollato gli ormeggi dal porto di Trapani. Per la prima volta in 16 mesi non era stata sottoposta a Port state control (Psc) e al conseguente fermo. Nei database ufficiali non risultano Psc nei confronti di nessuna nave umanitaria nel periodo successivo. Dal 5 maggio 2020 queste ispezioni erano diventate un appuntamento fisso alla fine di ogni missione. Producendo sempre lo stesso esito: detenzione.

Le ragioni di questo secondo cambio di prassi sono più difficili da decifrare e potrebbero avere diverse cause. Intanto c’è stato un avvicendamento al vertice della guardia costiera: il 23 luglio l’ammiraglio ispettore capo Giovanni Pettorino ha lasciato il posto di comandante generale all’omologo Nicola Carlone. Nel frattempo le autorità di bandiera delle navi tedesche, spagnole e norvegesi avevano accolto alcune richieste su certificazioni statutarie e dotazioni di sicurezza avanzate dalla guardia costiera. In alcuni casi, però, lo hanno fatto specificando che se i fermi fossero continuati anche le navi commerciali italiane eventualmente sottoposte a ispezione nei porti di loro competenza avrebbero potuto subire le stesse contestazioni fatte alle Ong.

DEL RESTO queste non si fondano su un chiaro dettato normativo, come sottolineato anche dai pm di Agrigento nella richiesta di archiviazione del procedimento contro Mediterranea per la missione di marzo 2019. Al termine delle indagini i magistrati siciliani hanno concluso che non esistono certificazioni specifiche per le navi civili che svolgono attività di ricerca e soccorso. Dunque le richieste delle autorità italiane sembrano prive di fondamento giuridico.

Questo punto sarà chiarito nei prossimi mesi dalla Corte di giustizia europea a cui sono stati trasmessi gli atti del ricorso al Tar di Palermo presentato da Sea Watch lo scorso dicembre. Il procedimento volge ormai al termine e se i giudici europei dovessero dare ragione alla Ong la decisione peserebbe sugli altri procedimenti analoghi aperti in Sicilia e Sardegna. Le richieste di risarcimento danni sarebbero a quel punto una possibilità concreta.