«La fame è l’arma invisibile del genocidio. Senza un immediato cambiamento drastico, questo gruppo di armeni sarà distrutto in poche settimane» ha scritto l’ex procuratore capo della Corte penale internazionale, Luis Moreno Ocampo, a proposito della situazione umanitaria in Nagorno-Karabakh. In un rapporto di 28 pagine presentato all’Onu il 7 agosto scorso, Ocampo ha accusato chiaramente il governo dell’Azerbaigian di aver messo a rischio 120 mila persone di etnia armena nel territorio separatista del Nagorno-Karabakh a causa della chiusura del «corridoio di Lachin»: una striscia di terra di 5 chilometri che prende il nome della città di confine da cui partiva l’unica strada rimasta agli armeni in Artsakh.

LA CRISI ha origini lontane ma è riesplosa tra il 27 settembre e il 9 novembre del 2020, quando in quest’aerea si è combattuta una guerra sanguinosa che è costata la vita a più di 7mila soldati, oltre a creare quasi 50mila nuovi profughi. L’Azerbaigian, spalleggiato a livello operativo e strategico dalla Turchia di Erdogan, ha attaccato senza preavviso la Repubblica dell’Artsakh, ovvero la parte di Nagorno-Karabakh controllata dagli armeni dal 1994 ma mai riconosciuta ufficialmente da nessun Paese, nemmeno da Erevan. Dopo la fine della «guerra dei 44 giorni», gli accordi di pace stabilivano che il Corridoio di Lachin rimanesse aperto e fosse presidiato da un contingente di pace russo. Mosca, infatti, è legata all’Armenia dal «Trattato di amicizia cooperazione e mutua assistenza tra Armenia e Russia» che prevede, tra le altre cose, il soccorso militare in caso di minaccia armata a uno dei due stati. Ma nel 2020 il teatro degli scontri era l’Artsakh, tecnicamente in territorio azero anche se amministrato de facto dai filo-armeni. Ora la Russia è impegnata nel conflitto in Ucraina e da mesi il contingente di pace in Artsakh è ridotto a meno di un battaglione e non assolve al suo compito, lasciando ai soldati e a pseudo-attivisti azeri la possibilità di bloccare la strada, di installare check-point non concordati e di perpetrare diversi tipi di abusi. Lunedì, ad esempio, di 170 civili scortati dal contingente di pace russo dal Nagorno-Karabakh all’Armenia, 3 studenti sono stati fermati a un posto di blocco azero e non hanno mai passato la frontiera. Si tratta di Alen Nelsonovich Sargsyan, Vahe Hovsepyan e Levon Grigoryan e ad oggi di loro non si hanno notizie. Il 14 agosto è stato anche confermato il primo morto per fame, mentre la scorsa settimana gli azeri hanno reciso il cavo di fibra ottica che permetteva la connessione alle linee di telecomunicazione per gli armeni dell’Artsakh. Ora il territorio è completamente isolato.

NEL SUO TESTO, Ocampo sostiene che vi siano «basi ragionevoli» per considerare le intenzioni del presidente azero, Ilham Aliyev, come «genocide», accusandolo di aver bloccato la consegna di beni essenziali al Nagorno-Karabakh e di aver disobbedito agli ordini della Corte internazionale di giustizia che lo obbligavano a garantire la libera circolazione di persone, veicoli e merci lungo il Corridoio di Lachin. Aliyev, inoltre, ignora gli appelli riguardanti il «rischio reale e imminente» creato dal blocco per la popolazione armena della regione.
Ancora Ocampo definisce «pretestuose» le dichiarazioni pubbliche del presidente Aliyev, secondo cui il blocco sarebbe necessario per interrompere il contrabbando di minerali preziosi e iPhone attraverso il Corridoio di Lachin. «Le attività di contrabbando dovrebbero essere adeguatamente indagate» scrive il giudice, «ma non sono una scusa per disobbedire a un ordine vincolante della Corte internazionale di giustizia o una giustificazione per commettere un genocidio».

IL GOVERNO AZERO, da parte sua, parla di «campagna politica diffamatoria» e nega il blocco. Il Ministero degli Esteri di Baku ha inoltre sottolineato che «l’uso di espressioni come ‘Nagorno-Karabakh’ in chiara mancanza di rispetto dell’integrità territoriale e della sovranità dell’Azerbaigian, l’interferenza negli affari interni dell’Azerbaigian, così come i due pesi e le due misure nei suoi confronti, sono inaccettabili».
Intanto, le autorità armene dell’Artsakh pubblicano rapporti che descrivono un peggioramento esponenziale della situazione umanitaria e indicano tassi di mortalità molto più alti della media degli anni passati, in particolare per i casi di infarto.

Ocampo conclude sostenendo la fattibilità di una risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni unite che preveda la giurisdizione della Cpinella zona. «In base alla Convenzione sul genocidio gli stati membri hanno l’obbligo di prevenire e punire ogni genocidio e 14 degli attuali 15 membri del Cds dell’Onu sono anche parte di tale Convenzione, il che rappresenta una maggioranza schiacciante», conclude, auspicando anche la cooperazione con la Russia.