È opinione condivisa, in Brasile, che il ministro Sérgio Moro abbia i giorni contati. Le rivelazioni del sito The Intercept sul suo ruolo nel complotto giudiziario della Lava Jato per escludere Lula dal processo elettorale hanno travolto come uno tsunami il (fino a ieri) quasi onnipotente ministro della Giustizia. E il peggio, per lui, è che probabilmente è solo l’inizio.

Il co-fondatore di Intercept Glenn Greenwald – icona del giornalismo indipendente a cui Edward Snowden rivelò i programmi di spionaggio della National Security Agency – ha già fatto sapere che nell’archivio in suo possesso, maggiore persino di quello di Snowden, esiste molto altro materiale compromettente sull’ex giudice di prima istanza a Curitiba.

A cominciare dalle conversazioni ancora non divulgate da cui, ha anticipato il giornalista, «si evince che Moro stesse pensando alla possibilità di accettare» l’invito rivoltogli da Bolsonaro a far parte del suo governo già prima del secondo turno delle elezioni.

Ma è tutta la scena politica brasiliana a essere scossa dallo scandalo. Annunciando nuove rivelazioni, Greenwald «è diventato signore del tempo», ha commentato Janine Ribeiro, ex ministro dell’Educazione del governo Dilma: «Sarà lui a decidere quali saranno le prossime tappe, quale sviluppo seguirà il caso». E questa è «la prima volta dal 2015» in cui l’estrema destra si vede scippare l’iniziativa politica.

Le milizie digitali di Bolsonaro si sono già attivate, minacciando di morte il giornalista, il suo partner, il deputato David Miranda, e persino la madre di quest’ultimo, a cui hanno minacciaTo di far «saltare la testa». Tra i deputati bolsonaristi, Carlos Jordy invoca la chiusura di Intercept e l’espulsione di Greenwald, cittadino statunitense residente a Rio de Janeiro, oltre a raccogliere firme per la creazione di una commissione di inchiesta in base all’accusa di un presunto hackeraggio dei cellulari dei membri della Lava Jato (smentito non solo dal giornale on-line ma anche da Telegram, l’applicazione usata dal pool).

Ma sono tutte armi spuntate. Come ha twittato Greenwald in risposta agli attacchi omofobi di Eduardo Bolsonaro, «nulla potrà cambiare ciò che hanno fatto Moro, Dallagnol e la Lava Jato. La prova delle innumerevoli irregolarità commesse non scomparirà mai. Ed è solo l’inizio».

Quanto a Bolsonaro, dopo 24 ore di silenzio totale, si è incontrato con il ministro – la cui popolarità, prima dello scandalo, superava la sua di oltre 10 punti – e lo ha accompagnato a un evento della Marina in cui è stato insignito dell’ordine al merito navale.

Ma è probabile che non riceverà molti altri riconoscimenti in futuro. Definitivamente sfumato appare il posto da ministro del Supremo Tribunale Federale che, a quanto pare, gli era stato promesso dal presidente e su cui Moro riponeva le più grandi aspettative. E chi già lo descriveva come successore naturale di Bolsonaro si è sicuramente ricreduto.

Da ogni parte – tra le forze politiche, le associazioni di giudici, sulle reti sociali, sulla stampa – piovono sul ministro richieste di dimissioni. E nel Congresso acquista sempre più corpo l’ipotesi di una commissione parlamentare di inchiesta sulla sua condotta e su quella della task force della Lava Jato. Si prevedono ricadute anche sui processi, a partire naturalmente da quello di Lula.

Sarà infatti in un clima completamente nuovo che il 25 giugno la Seconda Sezione della Corte suprema giudicherà il ricorso presentato dai legali dell’ex presidente proprio sulla base dell’accusa di parzialità nei confronti dell’ex giudice di prima istanza. E di certo, dopo le rivelazioni di Intercept, non sarà facile respingere gli argomenti della difesa.