«Ritengo che bisognerebbe tornare a riflettere sulla pena di morte e non essere impulsivi come nel mondo di oggi nel volerla eliminare rapidamente. Secondo me per i reati più gravi dovrebbe essere consentita», ha dichiarato il premier polacco Mateusz Morawiecki in un intervento su Facebook. Il primo ministro ci ha tenuto anche a smarcarsi dalla dottrina ecclesiastica sull’argomento: «Credo si tratti di un’”invenzione prematura” degli anni ’90. Su questo punto sono contrario all’insegnamento della Chiesa», ha aggiunto il premier, espressione della destra populista di Diritto e giustizia (Pis). In Polonia l’ultima condanna a morte era stata eseguita per impiccagione il 21 aprile 1988 nel penitenziario Montelupi a Cracovia. Un anno e mezzo dopo sarebbero arrivate le prime amnistie seguite da una vera e propria moratoria. La pena di morte è stata poi ufficialmente abolita a Varsavia nel 1997. È vero, le frasi di Morawiecki sono state espresse a titolo personale e su un social. Eppure la sua sortita è sorprendente per imprudenza (e impudenza) visto che ricopre una delle più alte cariche della Polonia. CheMorawiecki voglia allineare in materia la Polonia all’unico paese sul continente europeo a ricorrervi ancora ossia alla Bielorussia di Lukashenko? In Russia invece è in vigore una moratoria.

Il Pis e i suoi alleati hanno provato a correggere il tiro, finendo invece per gettare benzina sul fuoco: «Credo che il premier si riferisse soltanto ai delitti di omicidio plurimo o violento e ai crimini di guerra», ha commentato il portavoce del governo Piotr Müller, precisando anche che «la discussione sulla pena di morte non rientra nell’agenda del governo». Di certo le dichiarazioni del premier non giovano all’immagine del Paese alle prese con una pluriennale disputa su giustizia e stato di diritto con l’Ue, la quale non ha ancora sbloccato i fondi del Recovery Plan destinati a Varsavia.