A fare un passo indietro Evo Morales non ci pensa minimamente. E anzi tutto indica che voglia riprendersi il pieno controllo del partito, il Movimento al Socialismo, magari nella prospettiva di ricandidarsi alla presidenza del paese.

Una possibilità, questa, ancora aperta, dal momento che il Tribunale costituzionale ha respinto il ricorso per l’annullamento della controversa sentenza del 2017 sulla cosiddetta «rielezione indefinita», quella che aveva consentito a Morales di ricandidarsi nel 2019, con tutto ciò che ne sarebbe seguito.

In ogni caso, per Morales, la priorità è ora stroncare il dissenso interno, ulteriormente cresciuto dopo la disfatta del secondo turno delle elezioni amministrative dello scorso 11 aprile, quando il Mas ha perso tutti e quattro i ballottaggi in cui era presente: a Chuquisaca, Pando, Tarija e soprattutto La Paz, dove a prevalere è stato il candidato del partito Jalalla Santos Quispe, il figlio del celebre leader indigeno, recentemente scomparso, Felipe Quispe, detto «El Mallku».

L’offensiva è partita proprio una settimana dopo le elezioni, quando Morales ha annunciato, al termine di una riunione con i vertici del Mas, una sorta di purga all’interno del partito, scagliandosi contro l’«antievismo» a suo giudizio presente nella stessa struttura di governo e chiedendo maggiore «disciplina».

«Bisogna porre un freno a questi compagni che stanno sbagliando», ha dichiarato durante il suo programma «Evo Pueblo» alla radio Kawsachun Coca, sostenendo di aver «sopportato pazientemente». «Come è possibile che alcune autorità all’interno del governo stiano parlando contro Evo Morales? Che male ho fatto?», ha proseguito, risparmiando però esplicitamente dalle critiche il presidente Luis Arce.

Così, allo scopo di soffocare le voci dei cosiddetti rinnovatori, l’ex presidente ha sollecitato, in occasione del prossimo congresso del partito, previsto per giugno, la revisione dello statuto del Mas, invitando inoltre a combattere il cosiddetto «cuoteo político» – cioè la logica di spartizione del potere tra le diverse forze che sostengono il governo – e la corruzione: un tasto quest’ultimo estremamente delicato, dopo l’arresto del ministro dello Sviluppo rurale Edwin Characayo, sorpreso nell’atto di ricevere una mazzetta di 20mila dollari.

Tanto più delicato in quanto il suo predecessore, Wilson Cáceres, era stato estromesso da Arce dopo appena 23 giorni perché colpevole di aver scelto come capo di gabinetto una sua ex: «I valori e i principi rivoluzionari devono venire prima di tutto», aveva dichiarato il presidente.

Agli attacchi di Morales, in ogni caso, hanno risposto in molti, dal deputato del Mas Rolando Cuéllar – che gli ha suggerito di procedere piuttosto a una purga interna al suo establishment, che lo consiglierebbe assai male – al senatore Félix Ajpi, secondo cui dovrebbero essere le organizzazioni sociali che costituiscono la base del Mas a definire i necessari cambiamenti, fino alla prestigiosa ex presidente della Confederazione nazionale «Bartolina Sisa» Segundina Flores, che già in passato aveva denunciato la «divinizzazione» del leader del Mas.

«I dirigenti del partito – ha ribadito ora – devono essere tutti sottoposti a una valutazione, compreso Morales». E si è fatta sentire anche Eva Copa, la trionfatrice delle elezioni a El Alto per il partito Jalalla, accusata di tradimento dall’ex presidente: «Se di questo si parla, allora traditore è chi fugge e lascia abbandonato e indifeso il suo popolo», ha detto la nuova sindaca, in riferimento alla rinuncia e alla fuga dal paese del leader del Mas nel novembre del 2019.