Da svariati bilustri, i mercanti d’arte africana sono stati folgorati dalle tavolette coraniche, dalle arti talismaniche, dalla cultura materiale degli Hausa, la popolazione più diffusa nella Nigeria del Nord, ma anche nel vicino Niger, zona arida e semidesertica, Avvolta nella leggenda, la loro origine è una fusione di genti locali dell’area saheliana con popolazioni venute dall’esterno, tutte convertite all’Islam di tradizione sunnita dalle confraternite sufi alla fine del XIII secolo, e fortemente dedite ai commerci, grazie alla loro lingua, utilizzata anche da altri gruppi etnici, cresciuti nelle stesse scuole religiose.

Le antiche storie orali del mondo hausa, intrise di spiritualità, si ritrovano nella Cronaca di Kano, un manoscritto anonimo sulle vicende della vecchia capitale, completamente cintata di mura. Proprio la lingua hausa fa parte di quelle culture analizzate e studiate dall’istituto universitario L’Orientale di Napoli. Sotto la pressione della globalizzazione, della forte immigrazione e di una diffusa povertà, anche questa zona del continente nero è preda di violenze, saccheggi, estremismo terrorista. Le parole hausa più conosciute in occidente sono Boko Haram (letteralmente «la cultura occidentale è sacrilega»), il nome di un’organizzazione jihadista radicale nata con l’obiettivo di combattere la corruzione e l’ingiustizia, ritenuti vizi coloniali, e di imporre la sharia (legge sacra dell’Islam) come strumento di giustizia sociale. Che però si è fatta conoscere con attacchi a bersagli civili, compiendo rapimenti di massa, come quello di 276 studentesse di Chibok perpetrato nell’aprile 2014, e uccisioni indiscriminate di interi villaggi.

Da quella zona arriva la mostra Nel nome di Dio Omnipotente. Pratiche di scrittura talismanica dal Nord della Nigeria, a cura di Andrea Brigaglia e Gigi Pezzoli. La rassegna, prodotta da Black Tarantella e Centro studi archeologia africana, si trova nella Cappella Palatina del Maschio Angioino di Napoli, a ingresso gratuito, aperta dal lunedì al sabato, dalle ore 10 alle 17, fino al 10 luglio. «Ho lavorato tre anni per questa mostra che è la più grande fatta a livello mondiale, posticipata a causa del Covid – dice Andrea Aragosa, manager musicale e attivista culturale, il vero motore dell’iniziativa e produttore della mostra, insieme con le istituzioni locali e il Centro Studi Archeologia Africana di Milano – L’idea iniziale era quella di mettere in salvo queste tavole contro le distruzioni di Boko Haram, mostrare questi splendidi lavori in Occidente, il primo passo verso un centro per le arti del Mediterraneo e dell’Africa nera che parli della contemporaneità del continente anche alle tante comunità immigrate presenti sul nostro territorio per fargli conoscere le radici e le culture di provenienza».

Nella rettangolare Cappella Palatina, unica eredità intatta d’epoca angioina nel castello di piazza Municipio, sono messe in fila lungo le pareti e su appositi sostegni oltre 80 opere, in gran parte tavole di legno utilizzate nelle scuole coraniche, estremamente affascinanti per la loro bellezza grafica ed estetica, cariche di simboli e significati che affondano le radici in pratiche esoteriche, magiche, talismaniche non del tutto ancora decifrate. La scrittura, nel mondo musulmano, ha una valenza mistica, il dono rivelato di Allah all’uomo, con attenzione alla bella calligrafia. Alluna sono tavole coraniche che documentano la spiritualità, l’educazione e le pratiche magiche di quella parte del popolo africano, tra Niger e Nigeria, che fu islamizzato. Le tavole servivano a quattro scopi.

Allon Karatu per imparare a scrivere e memorizzare il Corano. Allon Sauka sono i diplomi di fine corso, al termine del quale i giovani potevano chiedere soldi in cambio della recita del Corano e anche sposarsi. Allon Sha, letteralmente «da bere», sono tavole più scure disegnate con simboli, quadrati magici e formule sacre, dalle quali, in un secondo tempo, l’inchiostro è dilavato, raccolto in un bicchiere e dato da bere all’interessato per guarirlo o per purificarne l’anima. Infine, Allon Kafin Gida, che oltre ai numeri e alle parole sacre contengono disegni di animali del Sahel, servivano per scacciare gli spiriti maligni che erano entrati in casa.

Una volta estratti i versetti, le singole parole, i nomi di personaggi sacri menzionati e addirittura le singole lettere, dal testo coranico – testo recitato, scritto e riscritto decine, centinaia, migliaia di volte per anni, fin da bambini, dagli studenti delle scuole coraniche – tutti questi elementi possono essere manipolati da specialisti per produrre effetti tangibili sulla realtà fisica sotto forma di protezione o di guarigione. Nell’importante catalogo bilingue (italiano e inglese) della mostra, riccamente illustrato, ci sono i contributi dei più noti studiosi internazionali della materia. Alcuni s’interrogano sul ruolo di una fonte scritta, seppur anonima, il documento Umma Musa («la madre di Mosè») contenente asrar (formule segrete), awfaq (quadrati magici) e khavatim (composizioni talismaniche), quasi 180 ricette/spiegazioni su come confezionare e utilizzare un determinato talismano. Proprio l’Umma Musa (presente in mostra, con alcune tavole davvero curiose e intriganti) viene stampato in formato molto piccolo (12 cm d’altezza) ritenuto esso stesso talismano e portato all’interno di un portafoglio in pelle indossato al collo. Un mondo di tradizione prevalentemente sufi, apparentemente lontano ma che rimanda ad antiche pratiche protettive, divinatorie e taumaturgiche del Medio Oriente, del mondo greco-romano, della Cabala ebraica, fino all’alchimia medievale.

Il progetto espositivo indaga aspetti della cultura materiale e simbolica della scrittura e delle pratiche esoteriche in un contesto di Islam africano moderno. L’approccio integra l’analisi delle dimensioni estetiche, storiche e antropologiche della cultura hausa del Nord della Nigeria. Pur con un’enfasi sulle tavole talismaniche, che costituiscono gli oggetti esteticamente più accattivanti in mostra, l’esposizione offre anche tavole in metallo, pelli istoriate con formule rituali, oggetti per divinazioni. Proprio quel mondo apparentemente lontano – l’Africa nera dove vivono gli Hausa – ma spesso assai vicino, se si tiene conto che molte migliaia di africani provenienti dalle regioni saheliane vivono al nostro fianco, viene spesso presentato con stereotipi negativi. Parlare di loro, della loro storia, delle loro antiche tradizioni e del loro mondo spirituale è un modo per «riconoscerli» e restituire dignità a queste persone che ci affiancano quotidianamente, martoriate dalle vicende spesso tragiche della recente immigrazione, costrette a imparare velocemente le coordinate della vita quotidiana nella ricca, e poco accogliente, Europa occidentale.