Dall’inferno di Severodonetsk all’inferno di Slovjansk. Così dicevano alcuni soldati ucraini in ritirata dal capoluogo della regione di Lugansk dieci giorni fa e ora questa profezia di sventura sembra avverarsi. Da tre giorni le città di Kramatorsk e Slovjansk, principali centri del Donetsk e ultime fortezze ucraine del Donbass, sono oggetto di bombardamenti senza precedenti. Domenica 11 missili si sono abbattuti sul centro urbano di Slovjansk dando alle fiamme un mercato all’aperto e diversi edifici residenziali. A fine giornata il bilancio è stato di 6 morti e oltre 20 feriti. Contemporaneamente a Kramatorsk si levava una colonna di fumo nero nei pressi del centro commerciale più grande della città (chiuso da tempo). «È iniziata» dice un militare di fronte all’unico chiosco ancora aperto della città, «stavolta i russi non aspetteranno».

LE PREVISIONI che i vari istituti di analisi e i servizi di intelligence avevano diffuso davano per scontato che dopo la caduta di Severodonetsk le truppe di Mosca si sarebbero riorganizzate per assaltare Lysychansk, giudicata fondamentale per la conquista dell’autostrada che da lì arriva a Bakhmut. Da Bakhmut avrebbero poi tentato, nuovamente, di chiudere la parte di Donetsk ancora in mano agli ucraini in una morsa e cingere d’assedio Kramatorsk e Slovjansk. Eppure, quando gli ucraini si sono ritirati da Severodonetsk abbiamo scoperto che diversi manipoli di spetsnaz russi si erano già spinti fino alle porte di Lysychansk e che non ci sarebbe stata nessuna attesa. Inoltre, tutti qui in Donbass sapevano che la battaglia di Lysychansk non sarebbe durata così a lungo come le precedenti perché dallo stato maggiore di Kiev era arrivato l’ordine di smobilitare. Certo, non subito e non pacificamente, ma era chiaro che l’esercito ucraino avesse l’intenzione di risparmiare mezzi e uomini per resistere in un altro punto. Anche perché, nonostante si sia più volte esaminato il cambio di strategia del Cremlino, è importante notare che anche i vertici militari ucraini hanno deciso di modificare la propria tattica. A Kiev hanno implicitamente riconosciuto che la guerra durerà ancora per molto tempo e, quindi, non ci si può permettere di sprecare la risorsa più preziosa: i soldati. Putin non ha ancora deciso di chiamare la mobilitazione generale, non siamo ancora alla coscrizione obbligatoria e il suo esercito conta un numero di effettivi pari almeno a 3 volte quello ucraino. Se consideriamo solo i militari in servizio attivo nelle forze armate russe arriviamo a 900 mila unità; aggiungendo i riservisti abbiamo 2 milioni di uomini in più. Kiev, dal canto suo, conta circa 200 mila effettivi e un numero di riservisti che supera i 250 mila (900 mila secondo chi considera anche i volontari). Questi sono dati generalmente condivisi dagli analisti e risalgono al periodo immediatamente precedente allo scoppio della guerra. È significativo notare che, all’inizio dell’ «operazione speciale» Mosca ha schierato circa 200 mila soldati determinando, quindi, un rapporto di 1 a 1 sul campo di battaglia. Non ci è dato sapere quanti effettivi ha schierato Kiev, vista anche la grande mobilitazione di volontari nei «battaglioni di difesa territoriale».

TUTTAVIA, QUESTI DATI ci aiutano a capire che, potenzialmente, il numero di riserve che la Russia può spedire in Ucraina può essere decisamente superiore alle forze di difesa di cui dispone Kiev. Ci sarebbero altre valutazioni da fare, come ad esempio il fatto che nell’arte militare si considera che il difensore ha un vantaggio di 3 a 1 sull’attaccante, ma non è questa la sede. Basti considerare che l’Ucraina non può permettersi di sprecare i propri uomini nella difesa di posizioni non giudicate decisive. È per questo che ora si cerca di infliggere il più alto numero possibile di perdite ai nemici per poi ripiegare su posizioni più vantaggiose, come è accaduto a Lysychansk.
Si noti anche che la notizia della ritirata da Severodonetsk è stata diffusa ufficialmente quando gran parte della manovra di ripiegamento era conclusa. A quel punto già era chiaro che presto i russi si sarebbero trovati nella condizione di poter scegliere se puntare verso Bakhmut o orientarsi direttamente verso Kramatorsk e Slovjansk. Anche in questo caso la maggior parte delle analisi degli esperti concordavano sulla necessità per gli invasori di conquistare Bakhmut. Una volta stabilita una testa di ponte da questa cittadina, gli altri reparti di stanza a Izyum, una parte dei quali era stata dislocata a Severodonetsk per coadiuvare le truppe impegnate nell’offensiva, avrebbero iniziato a spingere da nord. Si sarebbe così replicata la tattica del “calderone”, detta anche della “sacca” e le due cittadine del Donetsk sarebbero state cinte in una morsa letale mentre da Lyman, occupata meno di un mese fa, sarebbero continuati i bombardamenti.

TUTTO LINEARE se non fosse che i russi sembrano aver deciso di non impantanarsi di nuovo a Bakhmut e di tagliare direttamente verso Slovjansk. I bombardamenti degli ultimi giorni sembrano essere un avvertimento, li abbiamo sentiti a Lyman, a Izyum, a Rubizhne, a Severodonetsk e Lysychansk. Vogliono dire ai civili «abbandonate la città finché siete in tempo, stiamo arrivando». Hanno l’obiettivo di seminare il panico e di spaventare i difensori. Ma c’è un altro elemento di cui tener conto. Stavolta c’è poco spazio per le speculazioni. Si sa che Slovjansk sorge in una posizione sfavorevole alla difesa in quanto si trova in una conca circondata da alture già in parte occupate dai russi. Resistere lì sarebbe un massacro per gli ucraini. Di conseguenza, resta Kramatorsk: è qui che la battaglia principale per il Donbass avrà luogo. I militari lo sanno, i civili l’hanno capito e i russi stanno arrivando.