Mentre il governo del Mali cerca di stringere i tempi per implementare il G5 Sahel e nelle stesse ore in cui emergono i particolari di una visita ultradiscreta del presidente Keïta al suo omologo francese Macron, la guerriglia jihadista ancora attiva nel paese africano batte più colpi. In 48 ore 6 militari maliani e 4 caschi blu del Bangladesh sono rimasti uccisi nella regione di Mopti. In due attentati distinti, ma con modalità analoghe e ricorrenti: ordigni rudimentali che esplodono al passaggio dei convogli militari “stranieri”.

Lo scorso 21 febbraio anche due soldati francesi sono morti così, alla periferia di Gao, per una mina artigianale. Erano inquadrati nella forza militare Barkhane, evoluzione decisa nel 2014 da Parigi di Serval, operazione che l’anno prima aveva combattuto e “sconfitto” le milizie jihadiste occupanti nel nord del Mali.

Barkhane schiera circa 4 mila uomini e fin qui avrebbe subito una dozzina di perdite. Molto più grave il bilancio per il contingente delle Nazioni unite, formato da oltre 10 mila uomini e spesso oggetto di attacchi sanguinosi. Con circa 140 morti, Minusma ormai contende a Monusco, il suo equivalente congolese, il primato di missione Onu più pericolosa al mondo. Ma a pagare il prezzo più è l’esercito di Bamako (oltre 30 vittime nel solo mese di gennaio). oltre ai civili presi tra più fuochi. La recente recrudescenza di attacchi segna anche uno spostamento dell’azione dal nord verso le zone centrali del paese.

Intanto prosegue la “colletta” consentire il lancio del G5 Sahel, un altro piccolo esercito transanazionale di 5 mila uomini, sul già confuso scenario regionale. La recente decisione dell’Ue di raddoppiare i fondi ispira sintonie persino con Erdogan, che ieri ha annunciato 5 milioni di dollari dalla Turchia. Siamo più o meno a 500 milioni, ne mancherebbero altrettanti.