Aggiornamento 2o novembre: Javier Milei è il nuovo presidente dell’Argentina


Basta andare sul canale YouTube di Javier Milei, o imbattersi in uno dei tanti video messi online da suoi sostenitori o da chi lo ritiene una divertente macchietta per rendersi conto del personaggio. Si definisce anarco-capitalista e oggi è il candidato dell’ultradestra alle prossime elezioni presidenziali del 22 ottobre. «La linea di Steve Bannon ha attecchito anche in Argentina».

Martin Gak, giornalista e filosofo argentino che vive e lavora a Berlino e ha da poco lanciato Euroscopic, un podcast e una newsletter che si occupa di geopolitica, analizza così quanto sta accadendo nel suo paese: «Il progetto di Bannon è sempre stato quello di costruire un’infrastruttura a servizio di una certa politica affine ideologicamente. Javier Milei è un clone di Donald Trump, con cui condivide anche il taglio di capelli, di Jair Bolsonaro, di Matteo Salvini.

Un personaggio che per anni è stato sottovalutato. L’idea di base è semplice: trovare la persona giusta da far sbarcare in tv e sui social, i cui video possano diventare virali, farne un meme vivente. E arrivare così ovunque, in tutte le case e su tutti gli smartphone».

Chi è Javier Milei?

Un tecnico, un consulente che si spaccia per economista e accademico inesistente. Come Trump, non è un uomo di ultradestra ma negli anni si è collocato in quell’area. Ora sta usando a suo vantaggio il fatto di essere l’unico candidato esterno al sistema politico, quell’uomo nuovo che tanto attrae il malcontento generale di una popolazione che vive in una crisi, economica e politica, ormai da oltre un ventennio. Milei è Giorgia Meloni prima di diventare presidente: urla, strepita e sfrutta i danni del neoliberismo. Ma qualora andasse al governo, come la leader di Fratelli d’Italia sarà costretto a cambiare registro. Non dimentichiamoci che urlare in tv o sui social è facile, ma governare è un’altra cosa. Ora sta sfruttando il fatto di essere l’unico che non ha ancora fallito politicamente.

Sono passati appena 40 anni dalla fine del regime argentino e oggi Milei parla tranquillamente di voler instaurare un sistema di sicurezza sullo stile di Nayib Bukele in El Salvador. L’Argentina ha già perso i suoi anticorpi a un sistema autoritario?

Gli anticorpi in politica e in democrazia sono come i vaccini: dopo un po’ l’effetto svanisce. Oggi in Argentina la gente non parla più dei desaparecidos, ne parlano solo i familiari. Ma il vero problema a mio avviso è che Milei non è ritenuto un personaggio pericoloso democraticamente perché, ripeto, non è di estrema destra. È un opportunista che al tempo stesso si dice libertario ma non ha paura di voler rendere l’aborto illegale. La sua caratteristica principale è l’odio contro la sinistra, un odio violento, come dimostrano diversi suoi interventi pubblici.

Da dove arriva la legittimazione di Milei allora?

L’ascesa di Milei è la conseguenza del crollo della fiducia degli argentini nel sistema politico e nella rappresentanza. La sua legittimazione arriva invece dal sistema informativo. Milei sta usando le stesse armi di Trump, Bolsonaro, Salvini, Meloni… Se il telegiornale apre con la notizia di una bambina uccisa in strada, dopo pochi minuti appare Milei a urlare: “Esercito in strada. Pena di morte”. È un parassita politico che si è affermato sui social ed è stato consacrato dai media.

Milei interroga quindi l’intero paese e non la politica argentina?

L’Argentina è un paese boca-riverista, di opposizioni e contrapposizioni, tanto nel calcio tra Boca e River quanto nella società e nella politica. Ebbene, lui è stato addirittura in grado di cambiare squadra: da tifoso del Boca Juniors è diventato del River Plate. Ha usato il terreno di scontro argentino per eccellenza, il calcio, per mostrarsi fuori da ogni schema precostituito, sovvertendo anche la regola che vede nel nemico di un tuo nemico, un amico. Ha fatto dei terreni di scontro, dei terreni di possibile incontro. E qui calza a pennello l’esempio dell’aborto. Ha usato questo tema come test, per capire fino a che punto può spingersi. E ha visto che di spazio, nel centrodestra e soprattutto oltre, ce n’è tantissimo. Il suo obiettivo è quello di costruire una grande casa dove riunire tanto l’ultradestra che i cattolici conservatori e i capitalisti liberali.

Cosa accadrebbe se Milei diventasse presidente dell’Argentina?

O Milei diventerà Mussolini o Hitler, e non ci sono riusciti Trump e Bolsonaro, o farà un giro di governo e poi sarà spazzato via. Non ha dietro uno staff politico formato, non ha dalla sua esponenti politici di lungo corso, non conosce la macchina amministrativa. Parla di abolire ministeri come quello all’Istruzione o alla Sanità per lasciare mano libera al privato ma non riuscirà mai in questo intento. Ci sarebbe una sommossa popolare e sindacale. Sono solo slogan. Sta continuando nel suo ruolo di showman. Milei però lascerebbe un paese ancora più in macerie di quanto non sia oggi. Dopo un suo eventuale mandato mi aspetto un peronismo più violento, con il terreno delle riforme liberiste ulteriormente aperto da Milei.

Non sei quindi d’accordo con chi parla di morte del peronismo?

Il peronismo non potrà mai morire, non in così poco tempo. È un sistema di potere che si regge su un sistema di vasi comunicanti che parte dalla Casa Rosada e arriva fino ai sindacati. Ed è oggi indistruttibile.

Sulla politica estera, invece, come vanno letti gli annunci di Milei di voler rompere ogni dialogo con il Venezuela e di mettere addirittura in discussione il Mercosur, il mercato comune dell’America meridionale?

Milei ha detto di non voler stringere nessun accordo con i governi comunisti, Venezuela e Russia in testa in un momento in cui perfino gli Stati Uniti stanno cercando di migliorare le relazioni con Caracas per contribuire al controllo dei prezzi dell’energia, schizzati a causa della guerra in Ucraina e delle politiche dell’OPEC. Milei romperà davvero anche le relazioni con la Cina, visto che l’intera economia argentina e quella dei suoi principali partner è completamente legata ad essa? Milei sfiderà gli Stati Uniti e i Paesi europei? Per me questo dimostra che è un dilettante che prova a mostrare di avere un progetto geopolitico. Che non ha.

Torno a Steve Bannon. Dalle tue parole emerge come l’ex stratega di Trump, ex direttore di Breitbart News, ex banchiere, non sia davvero un “ex” come potrebbe sembrare?

Il 2024 rischia di essere l’anno di Steve Bannon. Le elezioni europee e quelle negli Usa potrebbero portarci in un mondo “occidentale” guidato da Trump, Orban, Meloni. Questo è il vero progetto dell’ex stratega, che tanto ex evidentemente non è. Quanto all’Argentina, non posso dire che Bannon abbia un diretto interesse nel mio paese. Quel che è certo è che Milei sta applicando alla perfezione il suo modello per arrivare alla presidenza.