Sarà la prossima decisione della Corte suprema sull’aborto a rimobilitare gli elettori democratici in vista del decisivo appuntamento delle elezioni per il Congresso tra un anno? Un appuntamento cruciale per le sorti dell’amministrazione Biden, dato che i democratici hanno soltanto 6 seggi di margine alla Camera e zero al Senato, diviso esattamente 50-50. Fino a ieri, le sorti delle elezioni del 2022 sembravano decise con largo anticipo: prima di tutto c’è la tradizione: nelle elezioni cosiddette di metà mandato, il partito che controlla la Casa bianca perde di regola alcune decine di seggi alla Camera. Le perdite dei democratici nel 2010 con Barack Obama presidente furono di 63 seggi e quelle dei repubblicani nel 2018 con Trump furono di 42 seggi.

A questo si aggiunge il fatto che l’amministrazione Biden ha tentato di fare molte cose nei suoi primi dieci mesi ma è riuscita a realizzare concretamente molto meno di quanto i suoi elettori si aspettassero: secondo un sondaggio Harris di ottobre, solo il 35% degli elettori approva le politiche sull’immigrazione e la maggioranza diffida di un progetto come Build Back Better che costerebbe tra 1.500 e 2.000 miliardi di dollari, con inevitabili aumenti delle tasse e del deficit. Il 61% degli elettori incolpa l’amministrazione per gli aumenti della benzina e il tasso di approvazione di Biden è al 38% e quello della vicepresidente Kamala Harris al 28%.

Quest’anno, inoltre, sono state ridisegnate le circoscrizioni per i 435 seggi della Camera e questo processo non è opera di organi tecnici indipendenti, bensì delle maggioranze politiche di turno nei singoli stati. I repubblicani, sono abilissimi nel ritagliare circoscrizioni a loro vantaggio, un procedimento noto come Gerryandering. Il risultato di questo taglia-e-cuci sarà, a parità di voti con il 2020, il passaggio di 5 seggi democratici nelle mani dei repubblicani, che già godono di un abnorme vantaggio grazie al loro insediamento nelle zone rurali (meno elettori ma più circoscrizioni). Quindi la tradizione, i sondaggi e la matematica elettorale vanno nella stessa direzione: una vittoria dei repubblicani alla Camera che bloccherebbe qualsiasi iniziativa di Biden nei due anni successivi metterebbe anche fine alle indagini sulla cospirazione di Trump e dei suoi pretoriani per rovesciare il risultato delle elezioni del 2020.

A meno che le donne americane non decidano che il troppo è troppo. Si potevano sopportare le crudeli buffonate di Donald Trump, i regali ai milionari, la corruzione della sua amministrazione ma la cancellazione del diritto all’aborto no. Ed è precisamente quello che la Corte suprema sta facendo in questi giorni. La decisione della Corte nel caso Dobbs v. Jackson Women’s, che riguarda una legge del Mississippi che vieta quasi tutti gli aborti dopo 15 settimane di gravidanza, arriverà soltanto tra qualche mese ma il dibattito pubblico di fronte ai giudici che si è tenuto nei giorni scorsi dà un’indicazione precisa: la maggioranza dei nove giudici cancellerà la storica sentenza del 1973 Roe v. Wade che garantiva protezione costituzionale alla scelta delle donne e aprirà la via a un’ondata di leggi antiabortiste in almeno 20 stati.

La Corte di solito è molto prudente nello smentire le proprie sentenze precedenti ma in questo caso l’orientamento dei tre giudici nominati da Trump (Neil Gorsuch, Brett Kavanaugh e Amy Coney-Barrett) è chiarissimo. Altrettanto certa è la posizione di altri due giudici conservatori, Clarence Thomas e Samuel Alito, quindi una maggioranza sufficiente di cinque voti c’è già. Più incerta la posizione del presidente della Corte John Roberts ma le previsioni sono che alla fine anche lui si allineerà.

La decisione verrà resa nota in primavera e quindi dominerà la campagna elettorale per le elezioni del novembre 2022: sull’aborto l’opinione pubblica americana è fortemente polarizzata, benché una larga maggioranza di donne voglia mantenere questo diritto. E’ possibile, quindi, che le sostenitrici di Biden (decisive per la sua vittoria l’anno scorso) si mobilitino di nuovo e vadano ai seggi in massa. Le speranze dei democratici sono appese a un filo, a questa possibilità che si fonda su una storica alleanza tra l’elettorato femminile e il partito: il cosiddetto gender gap a favore dei democratici, che oscilla tra i 7 e i 16 punti percentuali, quanto meno nelle elezioni per il presidente. Se le donne dei sobborghi residenziali decideranno che l’aborto è più importante dell’inflazione è possibile che il risultato del 2022 possa inaspettatamente favorire i democratici.