In una realtà come quella russa dove la propaganda di Stato ha occupato da tempo tutti gli spazi della comunicazione, anche un cronista affermato come Michail Ševelëv ha scelto di rivolgersi alla narrativa perché teme che il giornalismo abbia smesso di essere uno «strumento efficace» per favorire il cambiamento. Una riflessione emblematicamente sintetizzata nel dialogo tra i due protagonisti di Russo no, il primo romanzo di Ševelëv ad essere tradotto nel nostro Paese (e/o, pp. 138, euro 17, traduzione di Claudia Zonghetti, postfazione di Ljudmila Ulickaya), nel quale Vadik rivolge a Pavel, quest’ultimo firma affermata della stampa moscovita, un quesito...