Dopo la “renuncia” di Evo Morales alla presidenza della Bolivia l’ambasciata venezuelana, a La Paz, veniva attaccata con esplosivo e fuoco, mentre le sedi diplomatiche di Messico e Cuba subivano forti minacce da corpi della destra golpista boliviana, tanto che il ministro degli esteri messicano, Marcelo Ebrard, twittava, poche ore dopo aver aperto all’asilo politico all’ex presidente, “Siamo solidali con l’inviolabilità delle rappresentanze diplomatiche, ora richiediamo la stessa solidarietà internazionale affinché sia rispettata l’integrità dell’ambasciata e della residenza messicana in Bolivia”.

La complessa situazione vede, da un lato, le decisive spinte dei movimenti sociali, in ultimo la Central Obrera Bolviana, alla “renuncia” di Morales e dall’altra le istanze golpiste della destra razzista e classista che hanno incontrato le posizioni di polizia ed esercito. Alberto Fernandez, che diventerà presidente argentino il 10 dicembre, ha apertamente parlato di golpe, a differenza di quanto fatto dall’attuale presidente Macrì. Anche per Lula si tratta di golpe, ma non per il presidente brasiliano Bolsonaro.

In Messico il governo è unito nella condanna di quanto accaduto domenica in Bolivia. Andres Manuel Lopez Obrador non ha solo parlato di golpe ma ha anche con forza intimato che l’Organizzazione degli Stati Americani non resti in silenzio e prenda una posizione a differenza di quanto fatto domenica dopo aver sentenziato l’irregolarità delle elezioni del 20 ottobre.

Lopez Obrador ha dedicato quasi interamente la sua conferenza stampa giornaliera al caso boliviano, sostenendo le parole del ministro degli esteri Ebrard “il Messico non vedrebbe di buon occhio un governo che non nasce da un processo elettorale legittimo”. Il ministro ha poi aggiunto “rivendichiamo e chiediamo il rispetto dell’ordine costituzionale e la democrazia in Bolivia”. Tra la netta posizione del governo e l’allarme girato in rete sul possibile attacco all’ambasciata a La Paz, in Messico è stato notato, da molti organi d’informazione, come la rivolta contro Morales sia di fatto stata sfruttata dall’estrema destra, tanto che Camacho, presunto leader dell’opposizione, domenica si è apprestato a twittare “ringraziamo i movimenti sociali e le popolazioni indigene che ci hanno supportato in questa lotta”.

Probabilmente se il colpo di stato non si è concluso con l’autoproclamazione di un nuovo presidente è stato grazie all’azione di quei movimenti sociali e indigeni che pur criticando l’operato di Evo Morales si sono riversati, immediatamente dopo la “rinuncia”, nelle strade. Uno dei punti focali dello scontro è la città di El Alto, vicono a La Paz, dove sono molto forti e attivi i comitati di quartiere. Emblematico un post di Indymedia Bolivia “non vogliamo una giunta militare o politici arrivisti senza un mandato elettorale da parte del popolo. Vadano via civici fondamentalisti e opportunisti che non hanno mai detto nulla contro le politiche estrattive del governo di Evo Morales”