Numerose circostanze portano a credere che gli apparati del governo russo abbiano cominciato ad arruolare manodopera per la guerra in Ucraina non solo fra gli immigrati, ma direttamente nella Repubbliche dell’Asia centrale.

Il canale investigativo MediaHub, che trasmette su YouTube da Bishkek, in Kyrgyzstan, ha indagato su una serie di offerte di lavoro diffuse sui social media da una società privata del settore sicurezza. Le offerte riguardano «compiti speciali» da svolgere in Ucraina per 240mila rubli al mese, circa 4.300 euro.

È una proposta che molti potrebbero essere spinti ad accettare per denaro e per la possibilità di ottenere un passaporto russo. In Kyrgyzstan il salario medio si aggira attorno ai trecento dollari. Migliaia di cittadini lasciano ogni anno il paese alla volta di Mosca e San Pietroburgo alla ricerca di migliori condizioni di vita. Nella grande maggioranza dei casi finiscono nella zona grigia fra le mansioni più umili e l’illegalità.

IL SOSPETTO, sempre secondo MediaHub, è che dietro le misteriose offerte di lavoro in Ucraina si celi la compagnia di contractor Wagner, già al centro di pesanti sanzioni degli Stati uniti e dell’Unione europea, il cui ruolo in questa guerra cresce mese dopo mese.

Un altro elemento lo ha fornito il ministero degli Esteri dell’Uzbekistan. Un messaggio pubblicato sul sito internet dell’ambasciata a Mosca mette in guardia di fronte alle «pesanti conseguenze» che l’adesione alla campagna militare comporta. Il messaggio è comparso dopo l’appello lanciato dalla città di Perm, negli Urali, da un uomo di nome Jahongir Jalolov.

Jalolov ha preso parte nei giorni scorsi a una trasmissione televisivo sul canale privato Vetta. Da lì ha invitato i connazionali ad arruolarsi in un battaglione che sarebbe intitolato ad Amir Timur, ovvero a Tamerlano. Secondo Jalolov sostenere le operazioni in Ucraina è un modo per «ringraziare del pane che mangiamo in Russia».

Nel suo paese di origine, però, esistono leggi contro i mercenari. Il caso degli uzbeki di Perm, raccolti sotto il nome di un condottiero mongolo del XIV secolo, dimostra le pressioni a cui le amministrazioni locali sono sottoposte per garantire al Cremlino un numero congruo di uomini destinati al fronte.

Pur di raggiungere l’obiettivo, ora sembrano disposte a sostenere anche le rivendicazioni nazionaliste delle minoranze. Con questo sistema il ministero della Difesa può mantenere alta la pressione sul fronte dei combattimenti limitando, tuttavia, il contributo delle forze armate regolari. La tendenza è evidente. Secondo il quotidiano Kommersant, una ventina fra Repubbliche e regioni hanno già composto quaranta unità con migliaia di volontari.

Il piano complessivo prevede l’arruolamento di quattrocento soldati a contratto per 85 unità federali. Questo significa 34mila combattenti in vista di una nuova offensiva nel Donbass. Nel loro caso il compenso oscilla fra i 130mila e i 300mila rubli, ovvero fra i duemila e i cinquemila euro al mese.

SEGUENDO IL MODELLO delle milizie costruite su base etnica, in particolare nei territori dell’estremo oriente, il Cremlino riesce a rinviare la mobilitazione generale e ottiene anche una serie di vantaggi sul piano pratico.

Il ricorso alla lingua nazionale ha permesso a un battaglione della Repubblica di Tuva, al confine con la Mongolia, di comunicare via radio in tutta libertà nel corso delle operazioni di guerra. La storia è stata ampiamente discussa sui media russi. Dalla Tuva arriva anche il volontario accusato di avere castrato in un video un prigioniero ucraino.