Non si sottovaluti l’agenda: quella di Giorgia Meloni è un’offensiva diplomatica in piena regola, che in meno di 24 ore ha messo a segno una doppietta di prim’ordine. I 35 minuti di colloquio tra lei e papa Francesco, ieri mattina in Vaticano, non sono affatto un incontro rituale e trascurabile. Nella lunga marcia per reinventarsi come leader di una destra istituzionale e legittimata ovunque, la tappa di ieri era anche più importante del felice rendez vous con donna Ursula. Proprio perché la posizione del pontefice e quella della premier appaiono inconciliabili su almeno uno dei tre argomenti affrontati, l’immigrazione, e molto distanti su un altro, la povertà, mentre sul terzo, famiglia e natalità, l’assonanza è sincera.

Per la presidente, accompagnato dal figlio e dal compagno, ma anche dal cattolicissimo sottosegretario Mantovano e dal segretario generale di palazzo Chigi Carlo Deodato, la legittimazione implicita in un incontro cordiale era dunque fondamentale. Il papa ha affidato il suo messaggio al regalo consegnato all’inquilina di palazzo Chigi: un bronzo intitolato “Amore sociale” con raffigurato un bimbo che aiuta un altro bambino a rialzarsi, il tutto coronato dalla scritta «Amare aiutare».
Nel vocabolario d’Oltre Tevere l’indicazione è chiara, che ci sia anche una critica implicita è possibile. Ma l’intera liturgia della visita, conclusa dall’incontro tra la delegazione italiana e la Segreteria di Stato vaticana, il cardinale Parolin e monsignor Gallagher, indica che il Vaticano, come Bruxelles, non nega l’apertura di credito alla premier e nuova leader della destra. Neppure Giorgia, comunque, si è presentata a mani vuote: una copia edita nel 1955 di un libro di Maria Montessori, l’edizione 1920 del Cantico delle Creature e dei Fioretti di san Francesco, la statuetta di un angelo.

L’obiettivo è lo stesso. Le istituzioni europee e un papa che certo non apprezza l’approccio di questo governo ai nodi dolenti dell’immigrazione e del disagio sociale scommettono sulla stella in ascesa come leader capace di domare e sedare le tendenze peggiori della sua maggioranza: la visione reazionaria e opposta a quella papale del Salvini che sbandierava la maglietta con su scritto «Il mio papa è Benedetto»; i tentativi di forzare la mano violando le regole rigoriste europee della Lega e di Forza Italia. Forse, da parte di Francesco, c’è anche la speranza che persino sul fronte dell’immigrazione, come su tanti altri a partire dai rapporti con l’Europa e da quelli con l’ex amico Putin, la «nuova» Giorgia, ora che governa, possa abbandonare le proprie intemperanze e imbrigliare quelle dell’alleato leghista.

Quanto questi auspici siano fondati e quanto illusori lo si vedrà presto e quel che già si vede è poco confortante. Ma per un leader politica impegnata nello scrollarsi di dosso i panni strettissimi della «post fascista» sono un appiglio prezioso. Quando commenta via Tweet che «l’opportunità di dialogare col Santo Padre» è stata «un onore e una forte emozione» è certamente sincera come credente. Ma la soddisfazione diplomatica è altrettanto giustificata per la leader politica.
La sfida però è dimostrare di saper davvero tenere saldamente le redini di governo e maggioranza a dispetto di Salvini e Berlusconi. Le prove sono dietro l’angolo. Nel braccio di ferro sulle accise, che è appena cominciato e diventerà acerrimo senza una rapida discesa dei prezzi, perché soprattutto la Lega insisterà per tornare al calmiere costi quel che costi. Nella partita che si sta giocando intorno alla richiesta ucraina di uno «scudo» contro la quale remano sia la Lega che Forza Italia.