«Medici, no bombe». In un discorso pronunciato a Buenos Aires nel 2003 Fidel Castro affermava che «mai Cuba avrebbe attuato attacchi armati preventivi contro altri paesi, ma sempre sarebbe stata disposta a inviare i suoi medici in qualunque angolo del mondo in cui fossero richiesti».

Già allora il leader cubano alla globalizzazione basata sul controllo del mercato da parte di poche mani e garantito dalla potenza militare Usa  contrapponeva una globalizzazione della solidarietà.

Riaffermando così  l’interdipendenza delle nazioni e la necessità di dare alle grandi crisi e sfide – cambio climatico ed epidemie – una risposta collettiva basata sulle conoscenze scientifiche, la volontà popolare e il bene comune.

[do action=”citazione”]A 17 anni di distanza, il governo cubano retto da una nuova generazione ribadisce le scelte del lider maximo: più di 800 tra medici, infermieri e biologi cubani sono stati inviati in tredici paesi che ne hanno richiesto l’aiuto per combattere il Covid-19.[/do]

L’ultima spedizione sabato (49 medici e infermieri) in Andorra, secondo paese europeo, dopo l’Italia, a chiedere l’aiuto di Cuba. Ma forse non ultimo, come ci assicura un responsabile di mediCuba Svizzera/mediCuba Europa –che hanno già raccolto 100 mila euro per acquisto di materiale sanitario, su indicazione del Ministero della salute pubblica cubano- anche il Canton Ticino  starebbe trattando un possibile aiuto da parte di medici cubani.

La reazione dell’Amministrazione Trump a questa campagna di solidarietà cubana è stata, la settimana scorsa, un richiamo minaccioso – e dunque miserabile – alle autorità italiane – e in generale europee- a non richiedere personale medico dall’isola per non rendersi complici dello  «sfruttamento» dei medesimi da parte di un governo definito «dittatoriale».

Quando il corrispondente della Cnn all’Avana, Patrick Oppmann ha polemicamente obiettato alle autorità del suo paese se questa specie di ukase significava che gli Usa erano disposti a inviare loro un contingente di medici in Italia, apriti cielo. Non solo i falchi di Washington, ma anche buona parte dei media se la sono presa con Oppmann quasi che il corrispondente fosse infettato da una  «sindrome di Stoccolma», che lo portava a solidarizzare con i carnefici.

La reazione di Trump and company non sorprende. L’attuale pandemia sta dimostrando la necessità di cambiare profondamente sia le relazioni di forza all’interno degli Stati, sia i rapporti di dominazione con cui gli Stati si relazionano tra loro.

A questi cambiamenti si oppogono gli stessi fattori che hanno creato la crisi climatica e la pandemia: neoliberismo e nazionalismo populista, che antepongono entrambi gli interessi di una minoranza a quelli della comunità.