Siamo un esempio per il mondo: trentatré settimane di proteste contro la riforma del sistema giudiziario proposta dal governo Netanyahu. Poco dopo la guerra del 1967, fummo in otto a marciare dall’Università ebraica fino alla Knesset contro l’approvazione di leggi destinate a tradursi in una espansione territoriale. E in quindici manifestammo contro alcune azioni militari.

Oggi le proteste di centinaia di migliaia di persone a favore della democrazia scuotono l’intero paese. Il ministro della polizia, ovvero della sicurezza nazionale, Itamar Ben Gvir ha contribuito a chiarire perché non bisogna farsi illudere dalle manifestazioni.

DAVANTI alle telecamere, rivolgendosi a uno dei giornalisti, ha detto: «Ascolta, Mohamed: il mio diritto, il diritto di mia moglie, il diritto dei miei figli di percorrere in sicurezza le strade di Giudea e Samaria è più importante del diritto degli arabi al transito». Giudea e Samaria (Cisgiordania): territori occupati nel 1967. Il ministro è stato intervistato perché questa settimana si sono aggiunti altri e gravi omicidi di arabi in Israele. Apartheid senza dissimulazione.

Il problema essenziale oggi non è la riforma legale promossa dal governo israeliano, né le possibili concessioni ai manifestanti. Il governo di Tel Aviv, di cui fa parte non solo Ben Gvir ma anche una coalizione di estrema destra e di estremisti religiosi, sta percorrendo sfrenatamente la strada verso la «liberazione» dei territori occupati nel 1967 e, se necessario, verso l’espulsione di massa dei palestinesi.

Porre fine alla Nakba del 1948: lo affermano non pochi membri della coalizione. Il ministro delle finanze Bezalel Smotrich ha anche autorità sull’Amministrazione civile nei Territori occupati. Insieme a diversi suoi colleghi che non hanno fatto mistero del loro razzismo e delle loro aspirazioni di estrema destra, sta garantendo numerosi fondi ai coloni.

Centinaia di milioni di dollari rafforzano giorno dopo giorno le iniziative di espropriazione e colonizzazione e il terrorismo ebraico. Iniziative che erano state dichiarate illegali dall’esercito e dal ministero della difesa si avvalgono oggi del «silenzio» delle forze di occupazione che dovrebbero impedirle.

Estremisti? No, per carità…In alcuni casi formulano l’apartheid, Ben Gvir lo fa da anni. In altri invocano l’incendio del villaggio di Hawara, come ha fatto Smotrich che fra l’altro, rispettoso delle leggi, sospende la fornitura di milioni di dollari ai villaggi e alle città arabe palestinesi in Israele «finché non sarà ben chiara la destinazione dei fondi».

E DOVE vanno invece tanti finanziamenti governativi? Iniziative di ogni genere, che infiammano sempre di più i Territori occupati, oggi godono di sostegni governativi sotto mentite spoglie. Il terrorismo di alcuni gruppi di coloni israeliani contribuisce ad alimentare il terrorismo palestinese. Alcuni degli atti promossi da Hamas nelle ultime settimane hanno contribuito a mantenere sempre attuale l’invocazione della «lotta contro il terrore».

L’unico freno alla formalizzazione dell’annessione dei territori occupati è la possibilità di negoziati con l’Arabia saudita, con i buoni uffici statunitensi. I sauditi sostengono che non ci sarà alcun accordo senza concessioni israeliane al campo palestinese.

Questa settimana tutti sono rimasti sorpresi nell’apprendere che il ministro per gli affari strategici Ron Dermer, molto vicino a Netanyahu, durante la sua visita a Washington ha assicurato che Israele non si opporrà all’uso civile dell’energia nucleare da parte dell’Arabia saudita.

Non c’è bisogno di prepararsi a festeggiare: l’Arabia saudita non si limita a prendere iniziative importanti nel settore calcistico, ma con l’aiuto della Cina sta già portando avanti diversi progetti nel campo dell’energia nucleare e per gli statunitensi questo è un buon motivo per far avanzare un accordo con Tel Aviv che sarebbe importante per la regione. E proseguono i negoziati degli Stati uniti con l’Iran.

A SETTEMBRE, la Corte suprema dovrà confrontarsi con l’esecutivo circa la legittimità di alcune leggi approvate nel quadro della «rivoluzione legale» del governo Netanyahu. Se l’iniziativa governativa venisse annullata e il governo non accettasse questa decisione, a chi obbedirebbero le «forze dell’ordine»?

Il patriottismo e la legittimità di queste ultime sono per la prima volta messi fortemente in discussione; parlamentari e ministri diffamano palesemente figure chiave come il comandante dell’esercito e vari generali. Sebbene il premier abbia tentato qualche passo per stemperare gli attacchi, è chiaro che «l’unica democrazia del Medio Oriente» deve affrontare una crisi dal carattere inedito e la possibile necessità di un intervento delle «forze dell’ordine» in un contesto molto mutato e ormai meno camuffato da democrazia.