Da quando aveva circa tredici anni, Mary Oliver prese l’abitudine di inoltrarsi nei boschi intorno alla cittadina di Maple Heights, in Ohio, dove era nata nel 1935, per allontanarsi da una disastrosa situazione familiare. Portava le poesie di Whitman nello zaino e un taccuino su cui buttar giù i suoi primi versi. L’abitudine divenne poi metodo finalizzato alla scrittura, anche quando il paesaggio della sua regione del Midwest si confuse, nella sua mente, con quello della penisola di Cape Cod, dove visse per oltre quarant’anni: questa striscia di terra protesa nell’Atlantico a sud-est di Boston, le sue coste sabbiose, le foreste sature di fauna, le paludi, i laghi di acqua dolce e gli stagni, sono al centro del mondo che Oliver elegge a protagonista nella sua poesia e nella raccolta Primitivo americano, premiata nel 1984 con il Pulitzer e ora pubblicata da Einaudi nell’impeccabile traduzione e cura della studiosa di questa scrittrice, Paola Loreto (pp. 186, € 14,50).

Henry David Thoreau – come si apprende in Walden – era andato nei boschi perché desiderava «vivere deliberatamente, per affrontare solo i fatti essenziali della vita». Anche Mary Oliver, erede della grande tradizione romantica dell’Ottocento americano e della filosofia trascendentalista, osserva i fatti di natura che le si palesano nello spazio-tempo delle sue passeggiate e li ricostruisce in versi stilando un compendio di ciò che serve sapere della vita.

L’ecopoeta più venduta e amata della poesia statunitense contemporanea, riavvolge così il nastro del tempo e dell’evoluzione biologica per recuperare, attraverso i suoi affondo nel paesaggio naturale, primordiali effetti corporei e sensoriali. Organizzata intorno a un ciclo stagionale, dalla fine di agosto all’estate seguente, Primitivo americano è, come scrive Loreto nel bel saggio introduttivo, «un libro dionisiaco dell’esultanza per l’immersione nel proliferare disordinato e incontrollabile della natura». Ed è una sorta di libro della vita dettato dalla visione contemporanea di una wilderness che, sebbene violentata dal turismo, può ancora indurre la ricerca di una perfezione originaria in comunione con ogni elemento del mondo creato. I funghi che spuntano dopo la pioggia d’autunno sono allegoria della nascita, il fulmine che illumina il paesaggio offre un esempio di «creazione», le talpe nei cunicoli bui ammoniscono sulla relatività della vita. Di ogni genere di vita.

Il ricordo di una lince rossa apparsa una notte in Ohio, poi il morso di un ragno si fanno tramite della paura, mentre tre egrette che si alzano in volo si ergono a figurazione della «fede nel mondo», e due serpenti che sfrecciano nel bosco come «una coppia affiatata» mostrano una sintesi possibile di ogni storia d’amore. In questo processo di trasfigurazioni, l’umano e il non umano si fondono in una visione panica del creato mettendo in scena metamorfosi dall’una all’altra forma: nella prima poesia, una narratrice ingorda di vita si immerge in un rovo di more mature pigiandosi «il miele nero dell’estate /nella bocca», la sua mano una «grossa zampa».

Altrove si tuffa con le api nei fiori «a succhiare/il loro miele spirituale» o strappa la corteccia di un albero per raggiungere un alveare e voluttuosamente nutrirsi dei favi. In questa estensione di un corpo nell’altro, in «Felicità» un’orsa prende sembianze umane e affonda «le braccia grosse» nel cavo di una pianta per saziarsi di miele.

Che sia «misticismo pragmatico» o «panteismo ecologico», il concetto di primitivo sviluppato nei versi di Oliver porta in più direzioni: la ricorrente presenza delle api e del loro nettare ricorda, ad esempio, il cibo primordiale che è non solo simbolo di saggezza, abbondanza e rinascita nelle culture arcaiche, ma assume anche un valore antropologico e politico se lo si legge nella filigrana della storia statunitense: la baia dove ora sorge Provincetown – e dove Oliver arrivò nel 1964 al seguito della compagna Molly Malone Cook, fotografa e sua agente – è infatti all’origine dell’identità americana; perché qui – nel 1620 – approdarono i Padri Pellegrini a bordo della Mayflower prima di stabilirsi a Plymouth sulla costa opposta dove si consumarono i primi scambi con i nativi e un celebre incontro conviviale, nel novembre dell’anno seguente, durante una temporanea alleanza fra invasori e invasi.

Nella sua visionaria rappresentazione dei fatti degli oggetti di natura, Oliver recupera il passato ancestrale delle Province Lands e del suo Ohio stabilendo una fratellanza con i primi abitanti di quelle terre e un’implicita critica all’espropriazione colonialista. In «Fantasmi», l’immagine dei colonizzatori che sparano a mandrie di bufali dai finestrini di un treno è l’ovvio contraltare dello stretto legame dei nativi con la natura: «Nel libro della terra è scritto: /nulla muore//Nel libro dei Sioux è scritto: se ne sono andati nella terra, a nascondersi. /Nulla li convincerà a tornare/se non il popolo che danza». «Dove sono gli Shawnee adesso?» fa chiedere Oliver ai versi di «Tecumseh», la poesia dedicata al capo indiano che resistette all’espansione americana nella regione dei Grandi Laghi, il cui corpo non fu mai trovato, e che secondo Oliver, vive ancora nel paesaggio. Nella natura ogni creatura muore e rinasce, come il pesce che la narratrice cattura e mangia per sentirlo poi risorgere nel suo corpo, lei stessa divenuta pesce e tutti e due rinati in una «trama febbrile, nutriti/dal mistero».

Composte di catene foniche e sintattiche a formare versi liberi per lo più brevi, che risuonano come passi, queste cinquanta poesie dallo stile semplice sono scandite, appunto, dalla prassi del camminare. E ognuna aggiunge un tassello al grande affresco di Mary Oliver sulla comunione con la terra e sul suo slancio verso un primordiale stato originario senza confini di specie o condizione.

  Che sia «misticismo pragmatico» o «panteismo ecologico», come è stato definito l’approccio di Oliver al mondo naturale, il suo concetto di primitivo porta in più direzioni. La ricorrente presenza delle api e del loro nettare ricorda, ad esempio, il cibo primordiale simbolo di saggezza, abbondanza e rinascita nelle culture arcaiche ed assume anche un valore antropologico e politico se si guarda alla storia statunitense. La baia dove ora sorge Provincetown – e dove Oliver arrivò nel 1964 al seguito della compagna Molly Malone Cook, fotografa e sua agente – è infatti all’origine dell’identità americana. Qui, nel 1620, approdarono i Padri Pellegrini a bordo della Mayflower prima di stabilirsi a Plymouth sulla costa opposta dove avvennero i primi scambi con i nativi e un mitico incontro conviviale nel novembre dell’anno seguente durante una temporanea alleanza fra invasori e invasi. Nella sua visionaria rappresentazione delle cose, Oliver recupera il passato ancestrale delle Province Lands e del suo Ohio stabilendo una fratellanza con i primi abitanti di quelle terre e un’implicita critica all’espropriazione colonialista. In «Fantasmi», l’immagine dei colonizzatori che sparano a mandrie di bufali dai finestrini di un treno si contrappone allo stretto legame dei nativi con la natura: «Nel libro della terra è scritto: /nulla muore//Nel libro dei Sioux è scritto: se ne sono andati nella terra, a nascondersi. /Nulla li convincerà a tornare/se non il popolo che danza». «Dove sono gli Shawnee adesso?» viene chiesto in «Tecumseh», la poesia dedicata al capo indiano che resistette all’espansione americana nella regione dei Grandi Laghi in Ohio, il cui corpo non fu mai trovato ma, nella visione di Oliver, vive ancora nel paesaggio.   

L’azione del camminare scandisce la versificazione libera di queste cinquanta poesie dallo stile semplice, fatte di catene foniche e sintattiche, di versi per lo più brevi che risuonano come passi. Ognuno aggiunge un tassello al grande affresco della comunione mistica con la terra di Mary Oliver e del suo slancio verso un primordiale stato originario senza confini di specie o condizione. Nella natura ogni creatura muore e rinasce, come il pesce che la narratrice cattura e mangia per sentirlo poi risorgere in lei, lei stessa pesce e tutti e due risorti in una «trama febbrile, nutriti/dal mistero».