“Ho trovato inquietante vedere riverberare nelle motivazioni della sentenza di Torino sui riders di Foodora il medesimo argomento con cui 30 anni fa è stata esclusa la subordinazione dei pony express, una delle decisioni più criticate nella giurisprudenza italiana, in particolare sulla possibilità di non rispondere alle chiamate”. È il commento a caldo fatto da Federico Martelloni, uno dei giuslavoristi italiani più esperti di “parasubordinazione” e consigliere comunale a Bologna di “Coalizione Civica”, alla sentenza che ha negato a sei ciclo-fattorini di Foodora il riconoscimento dello status di “lavoratori subordinati”.

I ciclo-fattorini non sono lavoratori subordinati e quindi non possono essere licenziati…
Pensare che non sia sanzionatoria l’esclusione dal lavoro e la perdita del reddito può farlo solo un lavoratore stabile quanto può esserlo un giudice. Giudice che, per altro, ha escluso la violazione dell’articolo 4 dello statuto dei lavoratori e sembra avere dimenticato che, violato o meno che fosse tale articolo, si tratta di una norma che si applica ai lavoratori subordinati. Anche l’esclusione dell’articolo 4 è sintomatica del lavoro subordinato.

Davanti al richiamo della norma del Jobs Act, l’articolo 2, che indica l’estensione del rapporto di lavoro subordinato ai rapporti di collaborazione, i giudici sostengono che la norma non è riuscita ad ampliare l’ambito della subordinazione come indicato dal testo. Secondo lei è una valutazione corretta?
Peccato che per queste collaborazioni organizzate dal committente, anche con riguardo al tempo e al luogo del lavoro, il legislatore avesse previsto l’integrale applicazione della disciplina a tutela del lavoro subordinato senza neppure bisogno di riqualificazione del contratto. Ma il problema è che questa non è una norma che amplia la subordinazione. Si tratta invece di una norma di disciplina che, senza pregiudicare la natura autonoma del rapporto, equipara ai fini degli effetti una parte delle prestazioni al lavoro subordinato.

Nel caso dei rider di Foodora cosa significa?
Che potrebbero essere riconosciuti come collaboratori etero-organizzati, così fruendo di tutte le tutele assicurate ai prestatori di lavoro subordinato senza bisogno di essere riqualificati in tal senso. Senza la subordinazione basterebbe il riconoscimento di tale status per godere dei diritti minimi fondamentali.

Al di là della sentenza, sono diverse le ipotesi per affrontare una situazione nuova nel lavoro in Italia. C’è chi pensa a un contratto specifico. È una soluzione?
Sarebbe sbagliato, almeno oggi, costruire un contratto collettivo nazionale specifico solo peri rider perché, nel caso in cui non fosse immensamente favorevole, l’unico obiettivo raggiunto in quel caso sarebbe la non applicazione del regime previsto dal Jobs Act e impedirebbe paradossalmente di fruire delle tutele di cui hanno bisogno.

I sindacati confederali propongono di assimilare i rider al contratto della logistica…
Penso che si dovrebbe sentire prima i rider. Perché alcuni hanno percorso questa strada, ma siamo convinti che tutti siano della stessa idea? Esprimendo i rider in questa stagione una propria soggettività come dimostrano le mobilitazioni avvenute in molte città non tutti sembrano mirare a una pura assimilazione allo status di lavoratore dipendente. A me pare, del resto, che ove fossero effettivamente riconosciuti come collaboratori etero-organizzati, pur fruendo dello statuto protettivo riconosciuto ai lavoratori dipendenti, potrebbero non condividere, o condividerne tutti i limiti, a partire dall’obbligo di fedeltà e, soprattutto, da quello di obbedienza, peculiare della sola subordinazione. Le collaborazioni etero-organizzate offrono la possibilità di fruire di tutti i diritti dei subordinati, senza necessariamente averne tutti i vincoli.

La carta per i diritti del lavoro digitale che avete adottato a Bologna interviene su questo problema? Qual è il contributo che può dare?
La carta dei diritti si occupa di assicurare i diritti fondamentali a prescindere dalla qualificazione giuridica del rapporto,. Per diritti fondamentali s’intendono diritti sindacali, diritto al conflitto collettivo, ad una equa remunerazione nonché tra le altre ad una quantomeno relativa stabilità del rapporto e della corrispondente remunerazione. Per ascoltare le esigenze dei lavoratori bisognerebbe partire da esperienze di contrattazione come quella di Bologna per poi, eventualmente, arrivare a una disciplina di legge specifica per i lavoratori delle piattaforme i quali comunque presentano talune di peculiarità sia nei termini di rivendicazione della propria autonomia, sia di bisogno di godere di vecchi e nuovi diritti.

Cosa pensa del salario minimo per i rider proposto nel Lazio dal governatore Zingaretti?
Sarebbe un’iniziativa illegittima perché viola il riparto di competenze dell’articolo 117 della Costituzione che considera l’ordinamento civile competenza esclusiva dello Stato.

Meglio una legge nazionale?
Solo nell’ipotesi in cui si limitasse a rafforzare l’efficacia generale dei contratti collettivi nazionali. Posto che ad oggi è, nei fatti, applicabili erga omnes solo i minimi tabellari dei contratti collettivi. Diverso discorso, invece, varrebbe nell’ipotesi di un salario minimo europeo quanto mai opportuno in funzione antidumping.

La lettera del presidente del Lazio Nicola Zingaretti

pubblicata sul manifesto in edicola il 9 maggio 2018

Cara Direttrice,
ho letto con interesse e attenzione l’articolo che il vostro giornale ha pubblicato in merito alla sentenza del tribunale di Torino sulla vicenda Foodora.

Poiché il giuslavorista Martelloni chiama in causa anche la mia proposta di varare nel Lazio una normativa regionale a tutela dei rider, ritengo doveroso spiegare brevemente perché ho intenzione di proseguire questa battaglia, nonostante sia consapevole del rischio che un intervento regionale possa, come sostiene Martelloni, confliggere con l’art.117 della Costituzione.

Andremo avanti nel Lazio per due motivi: in primo luogo perché riteniamo sia possibile lavorare a forme di tutela compatibili con le normative nazionali.

Impegneremo il governo regionale per costruire una piattaforma normativa, studiando soluzioni per estendere ai lavoratori della cosiddetta gig economy le dovute prerogative di natura assicurativa, previdenziale, di sicurezza, dei quali non possono essere privati, anche prevedendo forme di garanzia per un salario minimo per mezzo della contrattazione sindacale.

Sottoporremo queste soluzioni a una consultazione pubblica, aperta alle forze politiche, sindacali, e delle imprese, alla partecipazione propositiva di singoli cittadini, di studiosi, di lavoratori che hanno sperimentato personalmente questa condizione, ma anche delle aziende che operano nella gig economy.

Vengo quindi alla seconda, fondamentale ragione che mi spinge ad andare avanti.

Un motivo di natura strettamente politica, che rivendico: la questione dei rider e della gig economy evidenzia in maniera eclatante l’incompletezza della proposta politica e normativa sui temi del mercato del lavoro.

Generando peraltro una delle più grandi contraddizioni di questi tempi, che vede ciascuno di noi beneficiare come utente dei servizi dell’era digitale, ma che scarica i costi sociali e umani dell’innovazione sulle spalle del lato più debole della relazione: il lavoratore.

Siamo i primi a riconoscere nell’innovazione tecnologica una delle grandi frontiere per lo sviluppo, ma dobbiamo iniziare a preoccuparci delle persone che si trovano in una situazione di dipendenza economica a cui nessuno ora parla.

Il numero di queste persone è in rapido aumento e, se non ci poniamo immediatamente il problema delle tutele retributive e previdenziali, della sfera dei diritti e della dignità dei lavoratori nell’epoca dell’economia digitale, rischiamo di creare uno sterminato limbo dei diritti, destinato a essere sempre più popolato.

Specie in questa fase di afasia della politica, serve quindi un segnale forte, e io voglio cominciare a lanciarlo dal Lazio. Già il prossimo lunedì avremo il primo incontro con le organizzazioni sindacali sul tema dei rider.

Sarà nostro impegno proseguire su questo fronte di battaglia per i diritti, con l’obiettivo di trovare soluzioni efficaci nel Lazio e, insieme, di portare l’argomento dentro una discussione nazionale.

Nicola Zingaretti

La lettera di Mastelloni pubblicata sul manifesto del 12 maggio 2018

Cara Direttrice,

dopo aver letto la risposta di Nicola Zingaretti all’intervista che ho rilasciato al manifesto, in tema di tutele del lavoro dei riders, seguita alla sentenza del Tribunale di Torino sul caso Foodora, credo sia doverosa e, spero, utile qualche precisazione.

Alla domanda di Roberto Ciccarelli su cosa pensassi di un’ipotetica legge della Regione Lazio sul “salario minimo” ho risposto nel solo modo in cui avrebbe risposto, credo, qualunque giuslavorista, affermando che un tale provvedimento sarebbe costituzionalmente illegittimo perché assunto in violazione del riparto di potestà normativa tra stato e regioni istituito dall’articolo 117 della Costituzione.

Ciò detto, con tale scolastica affermazione, non intendevo affatto scoraggiare iniziative di istituzioni ed enti locali finalizzate a tutelare i rider o, più in generale i lavoratori della gig economy, la cui condizione materiale è riconducibile, a mio modo di vedere, in parte ai vuoti normativi presenti nella legislazione nazionale, in parte, ai danni che le riforme del lavoro del nuovo secolo hanno prodotto, comprese quelle elaborate dal PD, la peggiore delle quali è senz’altro il Jobs Act. Al contrario! Oltre ad essere uno studioso di diritto del lavoro in veste di consigliere comunale di Coalizione civica per Bologna ho molto insistito affinché, nella mia città, l’amministrazione intervenisse, in modo diretto e indiretto, a tutela di un segmento del lavoro povero come è, certamente, quello svolto dai ciclofattorini.

Vorrei dire a Zingaretti, che, oltre a ritenere utile e meritoria ogni iniziativa legislativa regionale, specie orientata a garantire misure di welfare e sicurezza, mi paiono praticabili anche altri tipi d’intervento: regioni, ma anche i comuni, possono esercitare le competenze di cui dispongono in tema di mobilità e circolazione stradale per interferire positivamente con le condizioni di lavoro dei rider, anche assumendo iniziative coraggiose: il divieto del pagamento a cottimo che espone i riders ad un notevole aumento del pericolo per la sicurezza propria e di altri utenti della strada.

Un ente locale può favorire la stipulazione di protocolli trilaterali che coinvolgano le organizzazioni rappresentative dei rider e le piattaforme, promuovendo un’innovativa “contrattazione di strada” con le bacheche sindacali nelle piazze delle città. L’idea della Carta del lavoro digitale nata a seguito delle mobilitazioni di Rider Union Bologna è un primo esempio.

Una Regione può farsi promotrice di iniziative legislative nazionali per tutelare tutto il lavoro reso in condizioni di dipendenza economica, a prescindere dalla natura autonoma o subordinata del medesimo.

Sapendo, tuttavia, che proposte in tal senso sono state autorevolmente avanzate in ambito scientifico (Perulli) e sindacale (Carta dei diritti della Cgil), e scartate proprio dal partito di cui Zingaretti è autorevole esponente.

Ma non è mai troppo tardi.

Federico Martelloni è Giuslavorista e Consigliere comunale Coalizione civica per Bologna