Dopo le foreste, è il turno delle spiagge. Se il governo Bolsonaro è un incubo per tutta la popolazione del Brasile, non lo è di meno per i suoi ecosistemi. Perché se non è stato il governo a provocare l’enorme chiazza di petrolio che, dalla fine di agosto, ha cominciato a raggiungere le coste della regione nordestina, inquinando oltre 2.250 chilometri di litorale, è certo che l’inazione, l’incompetenza e l’inefficienza di cui ha dato prova il presidente brasiliano stanno notevolmente peggiorando la già gravissima catastrofe ambientale.

Mentre la marea nera avanza, invadendo oltre 250 spiagge in circa 90 municipi di nove stati, con danni incalcolabili agli ecosistemi marini e terrestri e alla vita dei rispettivi popoli, sono state finora soprattutto le comunità locali a darsi da fare, spesso senza neppure un equipaggiamento adeguato, rimuovendo il catrame solidificato dalla sabbia e dalle rocce e ripulendo gli animali ricoperti di petrolio.

Contro il governo è sceso in campo il 28 ottobre anche il Pubblico ministero federale, con una richiesta al Tribunale federale della quinta regione affinché il governo attivi integralmente il Piano nazionale di contingenza previsto per i casi di inquinamento da idrocarburi, il cui comitato di supporto (di cui fanno parte 17 organi governativi) non si è riunito neanche una volta.

In compenso, il governo, che non ha ancora neppure provveduto a concedere ai pescatori artigianali rimasti senza lavoro un sussidio temporaneo di disoccupazione, sembra attivissimo a lanciare accuse senza fondamento riguardo alla responsabilità del disastro.

Il primo indiziato è stato, neanche a dirlo, il Venezuela di Maduro. E a ritenerlo colpevole è anche la Petrobras, secondo cui le macchie sarebbero una mistura di materiale proveniente da tre campi petroliferi venezuelani e lo sversamento avrebbe avuto «probabilmente» inizio da una nave di passaggio davanti al litorale. Ma di prove contro il Venezuela, che ha peraltro respinto ogni accusa, non se ne sono ancora viste, né molti ritengono possibile che sia stata una nave a produrre una chiazza tanto enorme.

Neppure Greenpeace, comunque, è stata risparmiata dalle insinuazioni del ministro dell’ambiente brasiliano Ricardo Salles: «Ci sono certe coincidenze nella vita… Pare che la nave di Greenpeace stesse navigando in acque internazionali di fronte al litorale brasiliano proprio all’epoca in cui è avvenuto lo sversamento del petrolio venezuelano».