Tutto inizia nel mezzo di Place Saint-Sulpice a Parigi, la Rive Gauche dove lei abita, e poco distante vive anche sua madre, Catherine Deneuve. Chiara ha un trucco pesante, il vestito che la ingabbia, gli stivaloni per entrare nell’acqua, si gira uno spot, che ammicca a La dolce vita, la regista (Marlène Sadana) urla, Chiara deve dire: «Vieni Marcello» come Anita Ekberg a suo padre. Una presenza difficile da gestire specie per chi come lei è attrice, figlia di star, Mastroianni e Deneuve, la questione l’affronta spesso. Infatti ritorna poco dopo a un provino con Nicole Garcia che le chiede di essere «più Mastroianni e meno Deneuve». «Pensavo di essere Chiara» replica sentendosi all’improvviso perduta: chi è lei che vorrebbe solo essere se stessa? Marcello mio di Christophe Honoré in concorso a Cannes e in sala da domani è un film di specchi nel cinema e di fantasmagorie, desideri, malinconia, rivelazioni. Una ricerca di sé fra le molte identità che accumula l’arte del recitare, e un magnifico gesto d’amore del regista verso la sua protagonista, Chiara Mastroianni, complice da sempre nelle sue avventure cinematografiche.

Eccoci dunque nel mondo di Chiara – che interpreta sé stessa come tutti nel film. E al tempo stesso si fa personaggio della sua vita, insieme agli amici, agli amori, come Melvil Puopaud, alla madre Deneuve e al nuovo amico Fabrice Luchini che l’asseconda nella sua decisione: diventare suo padre, essere Marcello, la cui presenza la ossessiona. La somiglianza impressiona, con un po’ di gelosia materna, lei ha il cappello, fuma come lui, parla italiano, è donna e uomo, è Chiara e Marcello, dandy che vagabonda per la città, e raccoglie cagnolini perduti. Una parrucca, gli occhiali, la giacca di Benjamin Biolay, questo Marcello è anche camp e queer, sfugge a ciò che gli altri vi vogliono vedere e lascia all’improvviso un terribile set televisivo in Italia. Marcello e Chiara che prova a raggiungere il suo equilibrio attraverso di lui, in uno scambio che diviene un’esplorazione dell’arte di mettersi in scena, di recitare, di essere un personaggio con dei frammenti di sé, di poter passare da una identità all’altra. Honoré e Chiara giocano con l’immaginario, si avventurano nelle sue variazioni, dichiarano una fluidità di genere – centrale nel film – ricostruiscono scene in chiave diversa, cercano corrispondenze – Luchini amico di Mastroianni è geniale. Inventano e reinventano, un Otto e ½ di oggi o una Dolce vita nella fontana di Trevi dove bagnarsi è categoricamente vietato.

REALTÀ e finzione. Ricordi infantili, i dissapori, le infelicità e gli istanti di gioia. La vita e la sua reinterpretazione. Il film attraversa il proprio universo con umorismo e delicatezza, si fa un po’ film musicale, danza intorno alla figura di Mastroianni, convoca il mondo protagonista, li unisce, li confonde – a un certo punto Deneuve bacia la figlia. Film di famiglia e omaggio al cinema nella sua potenza di mutare il segno della realtà, di creare storie, mondi, figure indimenticabili.