Sono passati due anni da quando, il 27 marzo 2022, è avvenuto il «massacro di Moura». Per quattro giorni gli abitanti di questo villaggio nella regione di Mopti (Mali centrale), hanno vissuto l’inferno, secondo le ricostruzioni condotte dalla missione Onu della Minusma e dall’Ong Human Rights Watch (Hrw). L’esercito maliano ha sempre rigettato le accuse come «infondate», visto che quella di Moura fu «un’operazione antiterrorismo che portò all’eliminazione di oltre 200 miliziani jihadisti».

TESI SMENTITA DAL REPORT pubblicato nel maggio 2023 dall’Alto Commissariato per i Diritti Umani, insieme a un’indagine della Minusma. I cinque elicotteri dell’esercito maliano arrivarono a Moura in un giorno di mercato, con il villaggio affollato. I militari maliani, insieme ai mercenari russi di Wagner, aprirono il fuoco subito, colpendo indistintamente civili e alcuni miliziani sospettati di appartenere alla Katiba Macina, vicina al Gruppo di sostegno all’Islam e ai musulmani (Gsim), ramo qaedista nel Sahel.

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Poi, per i successivi quattro giorni, Moura fu «teatro di orrore», secondo le testimonianze raccolte: «Più di 500 civili vittime di esecuzioni sommarie, gli abitanti del villaggio costretti a scavare fosse comuni e seppellirvi i morti, almeno 58 donne violentate e diverse decine di persone arrestate, torturate e rilasciate dopo diversi giorni», secondo la ricostruzione dell’Onu che ha richiesto un’indagine al governo centrale per «individuare le responsabilità dei militari».

MA DOPO DUE ANNI l’indagine aperta dalla giunta militare non ha portato a «nessun colpevole», con una situazione che in Mali sembra diventata ormai una costante: attacchi jihadisti e successive stragi di civili come rappresaglia da parte dei militari. L’ultimo episodio risale a poco meno di una settimana fa a Zouéra, vicino Gao, con un bombardamento contro un mercato locale (10 morti) che si aggiunge a quello della settimana scorsa nel nord – sempre con l’utilizzo di droni – nel villaggio di Amaskarad che ha causato oltre 14 vittime tra la popolazione, quasi solo donne e bambini.

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Nonostante i proclami su un «miglioramento della situazione nel paese» pronunciati dal presidente ad interim, il colonnello Assimi Goita, e la recente creazione di una «forza armata unificata» all’interno dell’Alleanza degli Stati del Sahel (Aes) – tra Mali, Burkina Faso e Niger – la situazione sul campo sembra peggiorare. Attacchi in tutto il paese, gli aeroporti di Gao, Kidal e Timbuctu temporaneamente inutilizzabili perché colpiti dai miliziani jihadisti, ma soprattutto almeno 374 civili uccisi nel solo mese di febbraio.

EMBLEMATICO, per comprendere la gravità della situazione, l’attacco della scorsa settimana da parte della Katiba Macina contro la base delle Forze armate maliane (Fama) a Dioba vicina a Kati – considerata la roccaforte della giunta, da dove partì nell’agosto 2019 il golpe – che si aggiunge ad altri 5 attacchi simultanei nella parte meridionale del paese vicino alla capitale Bamako, considerata un tempo sicura dalla minaccia jihadista.

Dopo aver spinto le forze francesi e i caschi blu della Minusma ad abbandonare il paese, la giunta militare non ha ottenuto i risultati sperati, nonostante le armi fornite da Mosca e il sostegno degli oltre 2mila mercenari russi della Wagner presenti nel paese. Anche la recente riconquista di Kidal – ultimo bastione degli indipendentisti Tuareg – ha paradossalmente causato maggiore instabilità, visto che numerosi comandanti militari indipendentisti sono passati nelle fila dei miliziani qaedisti dello Gsim.