L’otto settembre di cinquecento anni fa si concludeva la spedizione spagnola cominciata sotto il comando di Ferdinando Magellano nel 1519 e portata a termine da Juan Sebastián Elcano, dopo la morte dello stesso Magellano, ucciso nelle Filippine il 27 aprile 1521. La missione doveva trovare una rotta per le isole Molucche, ricche di costose spezie, diversa da quella del Capo di Buona Speranza, controllata dai portoghesi. Le navi attraversarono l’Atlantico, scesero lungo la costa americana e trovarono lo stretto, che prese poi il nome di Magellano. Attraversato quel braccio di mare, scoprirono un immenso e insospettato Oceano, che fu chiamato Pacifico. L’odissea che seguì risparmiò solo una delle cinque navi salpate da Siviglia e diciotto dei circa duecentoquaranta marinai imbarcati (bisogna però considerare che uno dei vascelli si ammutinò sulle coste dell’America meridionale e rientrò in anticipo). Si era così compiuta la prima circumnavigazione del mondo, il cui resoconto più completo e affidabile è la Relazione di Antonio Pigafetta, un vicentino partito con Magellano per dare prova di sé e guadagnarsi fama presso i posteri.

Quell’impresa è oggi considerata come l’atto iniziale del processo che definiamo globalizzazione, perché, oltre a scoprire luoghi sconosciuti, ha permesso di misurarne le distanze dall’Europa e di dimostrarne la raggiungibilità, e quindi le possibilità di sfruttamento. Bisogna infatti sempre ricordare che lo scopo di quell’odissea moderna era prettamente utilitaristico e che il contatto con l’alterità antropologica e naturale – per noi così cruciale – ne fu un effetto secondario. L’epopea di Magellano entra quindi a pieno titolo in un dibattito attualissimo e minacciato da due opposti pericoli: da un lato la celebrazione unilaterale del pionierismo eroico e dall’altro la censura politica (al limite «cancellante») degli scopritori, considerati come apripista del colonialismo e già partecipi dei suoi misfatti.

Ma la verità storica non si lascia addomesticare e il ritorno ai fatti e ai documenti è indispensabile; perciò va consigliata la lettura di Magellano Il primo viaggio intorno al mondo di David Salomoni (Laterza «i Robinson / Letture», pp. 242, euro 18,00), che riparte dalle fonti e tratteggia un profilo imparziale dell’ammiraglio e del suo viaggio fatale. Il volume parte dal contesto generale delle scoperte geografiche europee tra il Quattro e il Cinquecento per poi introdursi nella biografia del protagonista, nobile portoghese e dal 1505 soldato nelle Indie, dove partecipa alla conquista di Malacca nel 1511, e poi in Marocco.

Il soggiorno in Oriente porta esperienza, ma anche sogni che si trasformano in progetti: l’odore delle spezie moluccane e le informazioni raccolte convincono Magellano dell’esistenza di un passaggio a sud ovest per arrivare in Indonesia. L’idea non seduce il suo sovrano Manuel I di Portogallo, ma nel 1518 persuade il re Carlo I di Spagna (poi imperatore Carlo V), cioè il diretto concorrente. La defezione frutta a Magellano l’accusa di tradimento e attirerà alla sua memoria duraturi problemi di metabolizzazione in entrambi i paesi iberici.

Il coronamento del sogno di Magellano prende la forma di una piccola e turbolenta flotta cosmopolita, nella quale esplode a più riprese la rivalità tra spagnoli e portoghesi, dominata dal comandante con astuzia e freddezza: doti che lo abbandonano nella primavera del 1521, quando sottovaluta le forze avversarie e si espone ai colpi mortali dei nativi di Mactan, comandati da un capo locale di nome Lapulapu (oggi celebrato come iniziatore della resistenza filippina al colonialismo). I superstiti compiranno il viaggio sotto la guida dello spagnolo Elcano; e il successo di pubblico sarà soprattutto suo.

La semplice narrazione degli eventi basterebbe a sorreggere un libro che ha in realtà anche altri meriti. Sul piano della ricostruzione, per esempio, Salomoni fa caso alla storia della scienza e sottolinea giustamente il ruolo che il cosmografo Rui Faleiro ebbe nell’organizzazione del viaggio, tanto da condividere con Magellano il comando della flotta negli accordi firmati. Il fatto è singolarissimo, ma qui il romanzo supera la storia, perché i nervi di Faleiro cedono poco prima della partenza, forse schiantati da una responsabilità troppo grande, e lui resta a terra e si perde sullo sfondo.

Alla sequenza delle avventure, Salomoni unisce le annotazioni che Pigafetta deposita nella sua Relazione, conciliando lo sguardo storico con quello antropologico, ma senza indulgere a derive strutturalistiche inadeguate. Nel ginepraio dell’incontro-scontro tra l’Europa e tanti mondi nuovi, pesante di conseguenze per una modernità rimpicciolita, unire i fili della politica, dell’economia e della storia culturale è il modo migliore per fare i conti giusti.